Capitolo 18

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Quel che sto cercando di dirvi è che il destino sarà anche un traditore... ma fino a quando avrete il controllo dell'elsa spetta a voi l'ultimo colpo.

~Daphne Stalwart, Il richiamo del drago

Cordelia

Credevo che Altair sarebbe scappato non appena avessi svelato qualcosa del mio passato, invece lui mi aveva ascoltato senza farmi sentire a disagio e io mi ero sentita al sicuro nel farlo. Non era mai successo. Non l'avevo voluto dire ad Hanna, con lei mi ripetevo sempre di avere tempo, che potevo raccontarglielo la settimana dopo o forse anche quella dopo, con Altair invece non avevo dovuto pensarci più di tanto, non questa volta almeno. O forse era stato il fatto che quello stesso passato, la sua parte più brutta, era molto vicino al trovarci dopo anni che io e Riky ci nascondevamo. Riccardo, approfittando dei miei test per il suo programma, mi aveva avvertito che lui si stava avvicinando ancora e io cominciavo a sentire l'acqua alla gola. Lo sentivo col fiato sopra il mio collo anche se non lo era, eppure lo percepivo troppo tangibile per rimanere solo un'ombra.

E poi quella promessa. Smuovere un Regno per una sola persona. Pensavo che ne avrei letto solo nei libri, che solamente un Rhysand, un Rowan o chissà quale altro personaggio avrebbe detto parole del genere e invece il mio compagno non aveva esitato un secondo a pronunciarle.

Mi terrorizzava ma era anche inebriante sapere di poter contare su un intero Regno ma allo stesso tempo sapevo che se le cose si fossero messe troppo male, se fossero uscite fuori controllo, sarei tornata alle vecchie abitudini e sarei scappata quanto più velocemente possibile. Ero io a dover affrontare quel pericolo. Non loro. Non il mio compagno. Non la sua famiglia. Io.

Altair mi sollevò il viso e si chinò a lasciarmi un bacio tra i capelli.

«Non pensarci ora Cordelia, sei al sicuro e all'Inferno non succede nulla senza che mio padre lo sappia quindi ora gustiamoci la cena e tu tieniti pronta a conoscere il resto della banda, daranno di certo del loro peggio stasera.»

Sei al sicuro mi ripetei ma il mio pensiero volò a Riky e ai suoi avvertimenti. No, non lo ero. O almeno non lo ero al villaggio. Dovevo trovare il coraggio per raccontare l'altra parte della mia storia al demone che camminava al mio fianco.

Riky non era in pericolo, la sua compagna sembrava ancora molto lontana dalla nostra posizione, almeno quello era ciò che gli avevano riferito i suoi informatori. Io, paranoica come sempre, continuavo a pregarlo di non escludere che potessero dargli delle informazioni depistatrici ma lui era certo della loro affidabilità. Non conoscevo l'identità di questi individui e non ero certa di volerla sapere ma mi fidavo del mio amico e se lui era pronto ad affidare la sua vita a loro, me lo sarei fatto andare bene.

Sei al sicuro mi ripetei stringendo la mano del mio compagno.

Credo che la parola d'ordine per descrivere l'Inferno fosse eleganza ma non quella opulenta e quasi fatiscente che si poteva trovare nelle dimore dei vampiri e che aveva un sapore barocco ma piuttosto la raffinatezza tipica classica, con i decori in marmo che creavano meraviglie. Era il tripudio della bellezza silenziosa, quella che ti stupisci perché c'è ma sai che è sempre stata lì. Il luogo dove Altair mi condusse e dove evidentemente si sarebbe svolta la cena non tradiva quel principio e io ne rimasi incantata.

Piccoli gruppetti di quelli che intuii essere dei nobili chiacchieravano tranquilli ma le voci erano troppe perché un solo discorso spiccasse sugli altri e io non avevo la voglia di focalizzarmi su di essi per origliarli.

Una figura di bambina attraversò la stanza correndo per finire tra le braccia del mio compagno che si accovacciò per prenderla in braccio e sollevarla, in lei riconobbi la bambina che era con Clary quando ero arrivata e mi resi conto che quella doveva essere la Emily di cui Altair mi aveva parlato.

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