Capitolo 6

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Non vidi e né sentii mia sorella per i prossimi 7 giorni, settimana in cui organizzai il mio viaggio per la Germania, ormai alzando quel polverone mi sentii in dovere di portare a termine ciò che avevo preannunciato.

Cercai di raccogliere più informazioni possibili da tutte le scartoffie che mi ero portata da Belino alla fine della guerra, ma come prevedevo e ricordavo non vi era nulla di compromettente. Mi abbandonai all’idea di dover partire da zero.

Vivendo da sola per anni, riuscì a mettere da parte un bel gruzzoletto, di certo mi avrebbe aiutata a sostentarmi una volta arrivata.

Preparai la lettera di dimissioni per il medico per cui lavoravo, all’inizio la sua intenzione di accettare fu riluttante data la fiducia che riponeva in me da anni, ma cercai di convincerlo e alla fine decise di
accontentarmi.

Seppi fin dal principio che una volta tornata non avrei avuto il mio vecchio posto di lavoro, di sicuro una sostituta l’avrebbe ottenuto.

Ma non sapevo come sarei tornata. Non era più prevedibile ciò che mi aspettava.

Con il taxi che chiamai per farmi portare a New York Harbor, ci fermammo nella villetta periferica di Annika, lasciai un biglietto, non potevo andarmene senza preavviso, sapevo che la situazione l’avrebbe fatta soffrire di nuovo e non potevo perdonarmelo.

Le scrissi semplicemente la data odierna e un'unica frase “oggi sono di partenza, non conosco ancora l’indirizzo della mia nuova sistemazione ma manderò una lettera un volta trovava. Con affetto, Anaїs”

<Perfetto può ripartire> il taxista annuì e ingranò la marcia verso il porto. Non fui per nulla spaventata da questo salto, per me doveva essere un nuovo inizio.

Arrivai al porto, ringraziai il signore alla guida e gli diedi i quaranta dollari che gli spettavano. Presi le mie due grandi valigie e a piccole falcate, cercando di non cadere raggiunsi il piccolo ponticello che era sorvegliato da più ragazzi in divisa marinaresca.

<Buongiorno signorina, posso avere il suo biglietto e i suoi documenti?> mi sorrise cordialmente uno dei più grandi e io ricambiai

<Certo!> appoggiai le valigie per terra con una sorta di inchino a schiena tesa e tolsi dalla mia borsetta ciò che mi aveva chiesto, si mise ad ispezionare con molta attenzione e trascrisse tutto su una cartella fin quando non ebbe finito e mi tornò il materiale.

<Lasci che il signor Whelan l’aiuti> disse indicando il ragazzo che aveva
al suo fianco, di certo possedeva meno gradi di lui.

<Certo signorina aspetti qui, porterò le sue valigie oltre il ponte e poi aiuterò lei> ringraziai sottovoce entrambi e mi misi ad osservare il ragazzo che inizio il suo lavoro come un automa.
Dietro di me il signore che mi aveva controllato i documenti era intento a trascrivere quelli di un’altra famiglia.

Il porto era in delirio, vi erano molteplici persone gremite sotto il grande transatlantico, era sempre più difficile entrare ogni minuto che passava.

Il ragazzo torno indietro e mi porse le sue mani che io afferrai, inizio a camminare in retromarcia sicuro di sapere la strada anche a spalle rivolte. Feci attenzione a non prendere una brutta storta difatti feci un passo alla volta per ogni piolo.

<La ringrazio, è stato gentilissimo> ringraziai il marinaio una volta arrivati e afferrai le valigie.

<Dovere, signorina. Buona fortuna in Germania!> sorrisi e mi diressi al piano inferiore così da essere in tempo per la partenza e vedere New
York lontano da me.

I corridoi si fecero sempre più affollati, famiglie, anziani, donne e
uomini con le loro borse e valigie pesanti.
Mi potetti permettere una seconda classe, ed era già un paradiso.

L’ultimo viaggio che feci in nave fu alla fine del 1945, il viaggio di ritorno. Non si poteva di certo paragonare.

Raggiunsi una signorina in uniforme, piegata su un banchetto pieno di scartoffie e la richiamai all’attenzione.

<Mi scusi> mi guardò con aria sofisticata, con dei bellissimi occhi
grandi, il loro colore era impossibile identificarlo, un misto di grigio e azzurro, contornato da una linea perfetta di matita nera <Mi dica>

<Sto cercando la mia camera> lasciai la domanda a metà convinta che avrebbe capito <Lei è qui da sola o è in compagnia di qualcuno> <Sono
sola> alla mia domanda si girò e prese una chiave dall’enorme tabellone alle sue spalle.

<La sua camera sarà la B25, la dividerà con un'altra ragazza, in caso ce ne fosse una nelle sue stesse circostanze> annui e la ringraziai,
dirigendomi presso il lungo corridoio, ma per fortuna non distava molto.

Apri la serratura e mi feci spazio all’interno, trovando una bellissima cabina, a tratti poteva somigliare ad un hotel. Si poteva vedere il mare infrangersi a qualche centimetro sotto l’oblo. Non eravamo ancora sotto il livello dell’acqua.

Senza neanche aprire i bagagli lasciai tutto nella stessa posizione che in cui li poggiai e salì le scale che mi portavano alla poppa dell’imbarcazione.

Vi erano molte più persone che mi aspettassi, alcuni avevano ancora i propri bagagli in mano. Li osservai a lungo e cercai di capire le diverse situazioni.

Una famiglia mi fece spazio tra i pargoli e potetti avere anche io un
posto alla ringhiera. Le persone dietro e acconto a me si spintonavano, altri avevano un fazzoletto bianco da poter sventolare mentre altre piangevano dalla lontananza che di sicuro avrebbero sofferto.

Il fischio di partenza suonò e tutti si misero a salutare la folla riunita di sotto.
All’inizio fui riluttante ma mi convinsi anche io.

Iniziai a salutare una massa di persone a me sconosciute, nessuno avrebbe capito che per me lì giù non c’era nessuno.

Scoppiai in una risata genuina, data la stupida azione che stavo compiendo e dalla boccata sana di libertà che si spargeva in me.

Anche in questo caso nessuno mi notò.

Mi sentii di colpo più leggera.

ᴛɪᴍᴇʟᴇss⏳Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora