Capitolo 9

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<Cosa ci fa lei ancora qui?> tra gli scaffali, il signor Kӧhler si fermò stupito, alzai il capo tra gli enormi faldoni che ancora mi aspettavano da visionare.

Lui mi raggiunse, camminando per tutto il lungo corridoio, mantenendo un area confusa e in cerca di una risposta, ma la ebbe solo quando arrivò a poco più di un metro da me.

<Credo di aver perso la cognizione del tempo> dissi, pensando a come io abbia potuto fare tutta la giornata.

<Ma sono le diciassette, è orario di chiusura degli uffici> io rimasi impietrita, aprendo la bocca credendo di avere le parole sulla punta della lingua ma fu un falso allarme.

<Come ha fatto?> lo guardai spaesata <Non lo so, ho visionato così tanti registri che ho perso il conto. Ma se mi concesse qualche minuto metterei questi al loro posto>

Guardò me e dopo quelle pile di fogli rilegati <No no – si grattò incoscientemente la fronte dove gli era caduto un ciuffo dalla sua
capigliatura ferma dal gel – vada a casa da suo marito, sarà di sicuro in pensiero>

Il suo sguardo si posò sulla fede che portavo alla mano destra.
<Non ha letto i miei documenti prima?> mi guardò nuovamente confuso, aggrottando le sopracciglia quindi mi spinsi a continuare

<Stato civile, vedova> nonostante i suoi occhi incredibilmente scuri
riuscì a capire che la sua mente era in cerca di parole, lo avevo messo in difficolta e un po’ mi dispiacque.

<Sono costernato ho appreso solo nome, data e luogo di nascita, comunque non si preoccupi, sistemerò domani mattina prima dell’apertura al pubblico>

<Se deve lasciare tutto così posso chiederle di aspettarmi domani vorrei finire di visionarli> l’espressione perplessa non abbandonò il suo volto, capì subito che mi trovò bizzarra

<Ha intenzione di passare una nuova giornata qui?!> sorrise, fu la prima volta che lo fece e io ricambiai sommessamente

<Solo se necessario!> mi guardò e rivolse un ultimo sguardo all’enorme caos che avevo appena lasciato e poi annuì in segno di approvazione <Ma ora vada> annuì a mia volta, presi la borsetta e il capello infilandomi velocemente il capotto, lasciando la sciarpa penzolante al mio collo priva di senso.

Gli rivolsi l’ultimo saluto e lo lasciai lì. Ripercorsi la strada che feci la mattina e mi ritrovai nella grande sala di ingresso ormai deserta.

Aprì il portone che era stato socchiuso e mi ritrovai davanti una vera e propria tempesta, la pioggia cadeva fitta e il cielo nonostante non fosse già sera si presentava plumbeo nascondendo ogni traccia del sole.

A mano a mano, gli uomini nei loro giubbotti imbottiti e le proprie 24h, uscirono, chi si cimentava in una corsa alla propria auto e chi uscì con calma, affrontando i passi in modo tranquillo sotto il proprio ombrello, rigorosamente sui toni del grigio o su quelli del nero.

Io aspettai sotto il porticato, la pioggia non aveva intenzione di cessare a scendere, ma non mi preoccupava più di tanto.

Mi voltai e vidi il signor Kӧhler in procinto di correre verso la sua macchina. Ma poi si voltò e venne sotto il porticato riparandosi dalla pioggia con la sua valigetta di pelle beige, anche se la pioggia lo aveva già inzuppato.

<Cosa ci fa qui immobile?> alzò la voce, permettendomi di sentirlo sebbene il forte caos che l’impatto delle pioggia sul suolo provocava.

<Aspetto che cessi di piovere> <Ma si
congelerà stando qui>

Lo guardai come se quella fosse l’unica alternativa possibile e lui recepì il messaggio.

<Non si offende se le propongo di darle un passaggio?> lo guardai scioccata, non ero abituata ad avere questo tipo di colloqui con gli uomini. Mi colse di sorpresa.

<Non ne ho la necessità, smetterà a minuti> capì l’antifona e le vere motivazioni del rifiuto dell’offerta

<Allora mi permetta di chiamarle un taxi> feci di no con il capo <Non ce n’è bisogno, soggiorno in quell’hotel che vede di fronte a lei, dopo la piazza> indicai con il dito e lui capì di quale edificio mi riferissi.

<Si tratta solo di fare il giro completo di questi palazzi e poi sarà al suo hotel asciutta. Di certo non posso tagliare la strada in mezzo alle panchine e alle siepi> rise e coinvolse anche me, nonostante mi trovò ancora titubante, accettai il suo invito.

<Perfetto, faccio una corsetta rigenerante verso la mia auto, lei mi aspetti qui> Non attese una mia risposta, si mise la cartella in testa a mo’ di ombrello e raggiunse la sua berlina a qualche metro dal portone del municipio.

Sostò all’ingresso, di fronte a me, con il motore acceso, in attesa che salissi e lo feci subito. Una volta dentro, potevo dire di non essermi salvata dalla pioggia ma l’uomo di fianco a me era praticamente zuppo.

Non ci pensai due volte, apri la borsetta e gli porsi il fazzoletto pulito, che riponevo in essa ogni mattina, rigorosamente con le mie iniziali cucite a piè di stoffa.

<Farò in modo di farglielo avere pulito in questi giorni, la ringrazio> disse costernato <Non si preoccupi> dissi io sinceramente.

Si tamponò il visto e il collo, lasciando stare i capelli, per quelli non sarebbe valsa la pena, necessitavano di un altro tipo di asciugatura.

Arrivammo davanti la mia residenza e mi congedai ringraziandolo e lui fece lo stesso con me. <Buona serata signorina Schneider> disse e ripartì.

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