Capitolo 17

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Pulì tutta la notte, cercando di essere più veloce possibile, ci tenevo che fosse tutto in ordine, come la mia casa, a New York.

Ordinavo meticolosamente, iniziai a capire anche quello, ordivano ciò che era al di fuori per cercare di mettere ordire dentro me

Mi preparai all’alba, ripassai mentalmente quello che avevo da chiedere così che nulla mi potesse sfuggire dalla mente

Presi la mia borsetta e mi imbacuccai come ogni mattina, misi un cappotto diverso quel giorno, uno color cipria, non troppo vistoso, visibilmente semplice con dei bottoni neri, lasciava scoperto solo un centimetro sopra il ginocchio.
Scesi le scale e aspettai qualche minuto dinnanzi la porta del mio conoscente, il buio delle cinque del mattino non permise di far entrare la luce nell’atrio, rendeva l’atmosfera del tutto tetra, decisi di sbattere il batacchio, non ricevetti risposta per un po’ di secondi, poi la porta si aprì

<Oddio! Mi scusi! Sono in un terribile ritardo – mi si presentò davanti indaffarato a creare un nodo più o meno regolare alla cravatta – entri partiremo a breve> sorrisi ed entrai silenziosamente, mi feci spazio nel soggiorno, molto più ordinato e pulito di ciò che ci si aspetta da uno scapolo.

<Ha l’aria di una che non ha dormito> emette una mezza risata di consapevolezza e io lo seguì

<Ho dato una sistemata, spero di non aver fatto troppo rumore> <No no si figuri, l’ho solo immaginato dai suoi occhi stanchi> molto probabilmente fui un mostro quella mattina ma non mi importò particolarmente, percepii che non si stava soffermando sulla parte fisica del mio aspetto ma intendeva la parte psicologica del vedermelo in viso. Mi era più che chiaro.

<Senta, la posso aiutare? Mi sembra in difficoltà> dissi dalla disperazione, torturava la povera stoffa da più di dieci abbondanti minuti.

<Meno male che lo ha chiesto lei!> mise la mano sui suoi fianchi, forse aspettandosi che mi avvicinassi

<Forza, me la dia, sarà pronta in un minuto> se la tolse dal collo e me la passò, la presi e la misi al mio, mi voltai verso uno specchio sopra ad un mobile a cassettoni. Con semplici mosse feci un nodo degno di nota e gliela restituì, mi sorrise e se la strinse al collo per poi sparire dietro la porta di una camera a me sconosciuta

<Sono pronto!> biascicai un “bene” come risposta e ci dirigemmo giù per le scale e dentro la macchina.

Dopo una centinaia di metri ci fermammo in una panetteria con ancora la saracinesca a mezz’apertura.

<Che significa?> dissi confusa da quella sosta prima del tempo <Io non intraprendo mai un lungo viaggio senza un’abbondante colazione, le presento delle persone che da sempre sono come genitori per me>

Scesi dall’auto e aspettai che lui mi raggiungesse sul marciapiede. Bussò sul vetro libero dalla serranda e dopo poco un signore con lunghi baffi grigi in abiti bianchi fece capolino dal cancelletto accanto al negozio.

<Figliolo, che bella sorpresa> si avvicinò per stringerlo in un abbraccio ma Raul lo scansò <Non vorrai sporcarmi di farina!> mi misi a ridere di soppiatto per la faccia che fece il signore davanti a noi

<Ma che bella visione figliolo, mi vuoi presentare la tua fidanzata finalmente> <No no, non è …> non lo fece continuare che se lo trascino per un braccio dentro il giardinetto e io li seguì

<Katerina, guarda chi è venuto a trovarci! Ha portato anche la sua fidanzata!> <Non è la mia fidan…> tentò per la seconda volta

<Tesoro mio, fatti abbracciare, come sei bello, sembri più magro ma su questo possiamo lavorare> se lo strinse a sé come fosse un bambino ritornato a casa dopo una fuga.

ᴛɪᴍᴇʟᴇss⏳Where stories live. Discover now