Capitolo 12

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Fui la prima ad entrare in quell’ufficio quel giorno, prima di qualsiasi curioso alla ricerca di tracce sul suo passato o di quello della sua famiglia.

Ormai ripetevo la solita routine senza mai fermarmi, iniziai a credere che tutto quello fosse inutile, troppo surreale, troppo pochi dati per cercare una persona, il tempo e il periodo sbagliato me la fecero incontrare.

Ma a New York mi convinsi che potevo farcela, che il tempo trascorso
non mi sarebbe stato di intralcio ma
più passavano i giorni e più credevo fosse stato tutto inutile.

Mi fermai a pensare tutto ciò, tra i libri tanto alti, difficili da leggere, fu così triste. Mi sentii fallita un'altra volta, una sensazione così pungente per una come me, ma del resto, non capì nulla di ciò che ne stavo facendo della mia vita, oramai da anni.

<Tutto bene?> spuntò Kӧhler da uno degli scaffali in legno lucido e lavorato con in mano delle sottili cartelle di carta. Non mi andava di parlare, era un momento di estrema riflessione per me, sentii che avrei potuto dire qualunque cosa, fui in una sorta di vulnerabilità difficile da controllare, quasi per chiunque.

<Credo – chiusi gli occhi per qualche secondo – credo di no> corrugò la fronte e si avvicinò al mio fianco

<Non si sente bene? Posso fare qualcosa per lei?> si appoggiò con una mano allo schienale della mia sedia.

<Non in quel senso, ma inizio a pensare di non ricavarne nulla da queste ricerche, i giorni passano e a quest’ora avrei dovuto avere le informazioni già in mano.>

<Se vuole, dopo all’orario di chiusura potremmo cercare insieme> mi preparai a negare ma fui subito fermata <Le prometto che non farò domande!>

Pure in quel caso cercai di rifiutare anche se fui sorpresa da tutto ciò, non era tenuto a farlo, poteva andare in contro a grossi guai, per di più non sapeva se le ragioni che gli avevo fornito fossero veritiere

<Non perda tempo con me, avrà di sicuro cose più importanti da fare>

<Non ho famiglia a casa, vivo da solo, non mi dispiace aiutarla, se lei me lo permette> rimasi a bocca aperta, non seppi come rifiutare in altri modi, così accettai, dandoci appuntamento tra qualche ora.

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<Eccomi!> disse facendosi strada verso di me ancora una volta, non risposi, aspettai che si sedesse, cosa avrei potuto dirgli di cercare? Un nome e una data di nascita pressoché giusta

Qualunque cognome.
Qualunque famiglia.
Qualunque etnia.

Tutti sarebbero convenuti con me dell’enorme difficoltà.
<So di aver promesso niente domande, ma posso avere delle nozioni minime?> mi distolsi mentalmente dai miei pensieri ancora una volta

<Certo, so che il suo nome fosse Edna, era il 21 gennaio 1945 ma poteva essere nata qualche giorno prima, forse a Berlino, per il resto, cognome, genitori e tutto quanto, beh, è un tabù.> mi guardò molto attentamente così da perdersi nessun dettaglio per la ricerca.

<Va bene, credo che tra poco avremo il responso in mano, o meglio, avrà> riferendosi a me.

<Lo spero, sarebbe un brutto colpo tornare a casa e non aver concluso nulla> mi guardò e annuì.

Trascorremmo del tempo in religioso silenzio, naso sulle pagine scritte a mano o a volte battuti a macchina. Anche lui fu molto concentrato a leggere, così da non perdersi ogni rigo, aveva sciolto il nodo della cravatta e allentato il primo bottone, si era scusato per averlo fatto, non voleva risultare inappropriato ma dopo una giornata di lavoro, spiegò, dava fastidio. Io non gli risposi e non mi sorpresi dal suo gesto, Lewis era solito farlo, quindi gli credetti.

Mi incupì leggermente, ripensai a quando seguivamo le funzioni religiose nella Chiesa di quartiere la domenica mattina, contava i minuti che separavano lui dall’arrivare in auto per potersi levare la cravatta.

Sorrisi a quelle reminiscenze solo dopo, in un secondo momento, a volte anche se erano cimeli divertenti, la mancanza rovinava il tutto.

<C’è una Edna Rose, qui!> mi voltai di botto. Ogni volta era un tonfo al cuore. <Mi dica di più> l’esortai a continuare

<Sembra essere nata a Berlino, il 18 gennaio del ‘45> fino ad ora avevo trovato delle bimbe intorno ai primi di gennaio e dicembre, le tenni comunque in conto, forse, Edna era minuta perché non era stata nutrita a sufficienza, anche se numerosi accorgimenti che feci all’epoca rinforzava la mia ipotesi di essere nata da pochi giorni. Ma le tenni da parte come una sorta di ultima spiaggia, per indagare lo stesso alla fine e togliersi ogni dubbio.

<I suoi genitori sembrano essere residenti a Düsseldorf attualmente> successivamente a quelle parole il mio entusiasmo svanì immediatamente <Non è lei!> <Come può esserne sicura? Ha tutte le carte in regola per poter essere lei> mi misi le mani al volto con i gomiti appoggiati al tavolo

<Non ha più i genitori da quella sera>
Pronunciò un “oh” quasi inudibile che non mi costrinse a rispondere.
Non mi domandò quale sera, ne fui grata

<Sono quasi le venti e trenta, forse dovremmo andare, potremmo riprovare domani> guardai per l’ultima volta la pagina che avevo tra le mani e il volto di quel giovane uomo, poi approvai <Sì, potremmo>

Sistemammo i fascicoli già visonati e mettemmo da parte quelli ancora da studiare. Presi il mio cappotto e lo indossai, annessi sciarpa e guanti. Aspettai alla porta dell’ufficio Raul, che si ricompose indossando un cappotto lungo fino a sopra le ginocchia e prese la sua ventiquattro ore.

Mi diede la precedenza nell’uscire dell’ufficio e ci apprestammo a scendere le scale. Mi offrì un passaggio e io accettai, ero troppo stanca persino di fare qualche passo, e non negai a me stessa il fatto di avere paura nell’attraversare l’enorme piazza deserta. Mi sembrava ancora la città di un tempo, quella in cui quest’orario per i civili era vietato. Il coprifuoco lo chiamavano e poi ilmunicipio se non per qualche recente modifica mi sembra lo stesso di quello con appesa l’enorme bandiera rossa con un svastica cucita negli anni ’40.

<Posso proporle una cosa?> prima di aprire la portiera mi girai per ascoltarlo <Certo, mi dica> con una mano teneva il volante e l’altra le marcie, mentre le mie mani erano sui manici della mia borsetta.

<Oramai è ora di cena, posso proporle una cena con me?> rimasi a bocca aperta, gli avevo chiaramente detto che ero rimasta vedova, si è sempre chiamato rispetto quello che si rivolgeva in queste circostanze.

<Come si permette? Non sono come lei crede, non ho famiglia con me, ma solo perché Dio me l’ha tolta troppo questo, altrimenti, mio marito sarebbe proprio qui accanto a me> presi di forza la maniglia della portiere, pronta per aprirla e andare via ma mi bloccò toccandomi l’avambraccio ma mi ritrassi all’istante.

<Aspetti, non avevo intenzione di offenderla, ho molto rispetto della sua vita e anche molto dispiacere di vedere una donna così giovane aver già affrontato un dolore simile. Il dolore che prova deve essere ancora molto vivo. Se mia moglie fosse come lei sarei molto onorato e orgoglioso di aver fatto solo parte della sua vita> non risposi immediatamente, tenevo le iridi ancora fuori delle orbite incapace di pensare lucidamente

<Riprenderò le ricerche da sola, non sono venuta fin qui per fare amicizia>

Questa volta non attesi, mi dileguai all’interno dell’elegante hotel lasciando con alle mie spalle Kӧhler e la sua berlina non ancora ripartita.

ᴛɪᴍᴇʟᴇss⏳Where stories live. Discover now