CAPITOLO5

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Margherita's Pov
Un nuovo giorno stava per cominciare.
Così come stava per ricominciare un nuovo capitolo della mia vita.
Mi ero da poco trasferita nell'appartamento in cui avevo passato gli anni più belli della mia vita, ma anche quelli più brutti.
Prima abitavo qui, a Miami, ma dopo, per cause di forza maggiore, io e la mia famiglia abbiamo deciso di trasferirci a New Yok.
Già, nella grande mela.
Chi lo avrebbe mai detto, che io Margherita Lake, amante del sole, cresciuta sempre con pane e salmastro, si sarebbe trasferita in un luogo in cui vigeva il traffico, smog e solo cemento.
Infatti è stato questo il motivo per cui sono voluta tornare qui, e frequentare qua l'università, nel mio posto preferito.
Potete portarmi in tutti i posti che volete, ma io tornerò sempre qua, mi dispiace.

Dopo aver fatto colazione, presi tutto quello che mi serviva, dalle matite alla mappa dove stavano scritti tutti i corsi che avrei svolto per l'intero anno scolastico.

Un altro anno mi aspettava.
Una nuova me era spuntata.

Chiusi a chiave la porta del mio appartamento e mi diressi verso l'ascensore.
Una volta entrata, cliccai il tasto che portava ai sotterranei, ma mentre le porte si stavano per chiudere, una mano dall'esterno fermò il tutto.
Di fatti, immediatamente le porte si riaprirono, per permettere di far entrare la persona che si stava quasi per rompersi una mano.

Era Edward.

Ma ovviamente avrei dovuto capire che si trattava di lui, visto ad ogni piano ci sono solo due abitazioni e che io condividevo infatti il piano con lui.
E sarei anche dovuta essere più veloce di lui, per non permettergli di usare anche a lui l'ascensore insieme a me.

<<Ciao>> si limitò ad un semplice ciao, accompagnato dal saluto con la mano che aveva libera, quella che per poco gli stava per fare ciao ciao a lui, visto che stava per essere amputata.
Mentre nell'altra teneva alcuni quaderni, alcuni più spessi, altri più sottili, ma ben curati degli altri.

Io invece mi limitai ad un saluto con un cenno del capo.

La mattina ero particolarmente irascibile, ed ero intrattabile.
Non volevo che nessuno mi stesse vicino, mi parlasse, mi toccasse o facesse qualsiasi altra cosa, almeno non prima di mezzogiorno o giù di lì.

Gli chiesi semplicemente dove dovesse andare, dapprima non capì, poi quando indicai con la mano i pulsanti dell'ascensore, rispose che sarebbe andato anche lui nel sotterraneo.

Bene, di male in peggio.

Alzai gli occhi verso l'alto.
Alla fine mi decisi a premere quel benedetto bottone e non fiatammo più.
Tutto ad un tratto, mentre io, per non avere un contatto visivo con lui, stavo attentamente guardando lo schermo che indicava a quale piano fossimo, attaccò bottone.

<<Senti per quella cosa che è successa l'ultima volta, io ti volevo dire che-
Non lo feci finire di parlare che lo stoppai immediatamente.

<<No guarda, non c'è da spiegare nulla, tu non mi devi alcuna spiegazione e men che meno io, quindi tutto finito, tu ora ti fai la tua vita ed io mi faccio la mia>>
Mentre finii di dire queste parole, si udì prima un suono di un campanello e poi le porte come per magia di aprirono, indicandoci che eravamo arrivati a destinazione.

Dio sia lodato!
Oh ma falla finita, quando ti ricapita di avere vicino un manzo così!

Uscii in fretta e furia dal piccolo spazio e mi diressi verso la mia jeep color sabbia.
Si lo so, questa macchina si addice poco ai canoni di grazia e classe che di solito dovrebbe avere una ragazza, e dico dovrebbe perché io non sono una che rientra in tutto ciò.
Sono l'opposto.
Non me ne è mai fregato nulla di essere sempre perfetta per ogni situazione, con il trucco impeccabile, gli abiti succinti,scelti appositamente per ogni tipo di occasione e con le unghie laccate con un colore diverso ogni mese.

PER ASPERA AD ASTRAWhere stories live. Discover now