CAPITOLO 15

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Margherita's Pov
Per la seconda volta mi ritrovavo a camminare in quelle strade che mi avevano vista due giorni fa.
I colori caldi dei murales investirono nuovamente i miei sensi.
Tutto ciò mi trasmetteva uno strano senso di pace e tranquillità.
Quella mattina mi ero recata da Edith per farmi spiegare tutto il necessario e quello che avrei dovuto fare, se mi avesse presa, lì dentro.
Anche se quella sarebbe stata solo una prova, mi aveva fatto sentire a mio agio e darmi conforto.
Come una madre con il proprio figlio.
Avevo provato a mostrare e mettere in pratica le mie doti da disegnatrice, ma avendo smesso per molti anni, pensavo che non sarei mai stata in grado di disegnare qualcosa che fosse all'altezza.
Ma quando presi tra le mani la matita, una scarica elettrica si sprigionò dalla punta delle dita per poi percorrermi tutto il braccio.
Ed ecco come è iniziato il tutto.
È proprio vero che non si disimpara mai, è come andare in bicicletta, anche se smetti, sai sempre come si pedala.
Finito il mio disegno, mi girai verso Edith aspettandomi un no come risposta, ma tutto quello che fece fu darmi un caloroso benvenuto nel loro negozio con un ampio sorriso che avrebbe fatto sciogliere qualsiasi persona.
In negozio mi fermai più del dovuto, ma mi piaceva così tanto stare lì, che avevo perso la cognizione del tempo.
Avevo conosciuto suo marito e i ragazzi che l'aiutavamo, erano stati tutti molto gentili.
Ed eccomi qua ora, che lasciavo alle mie spalle il piccolo negozio, che per la prima volta mi aveva dato un lavoro.
Però ero indecisa.
Non sapevo se tornare a casa, dato che era pomeriggio inoltrato e la metro non mi avrebbe  aspettato.
Oppure ritornare nel posto in cui avevo visto quei murales e conosciuto quel ragazzo.
Non ragionai più di tanto con la testa.
I miei piedi si mossero da soli nella direzione che gli sembrava più giusta in quel momento.
Decisi che sarei tornata a vedere i murales, anche se mi era stato espressamente proibito.
Ma io ero una testa calda di per se, e di certo non mi facevo dire quello che avrei o non avrei dovuto fare.
E per di più da uno sconosciuto.
Arrivai davanti a quella porta nera.
Quella volta era aperta.
Un silenzio assordante aleggiava per tutta la strada.
All'interno non sentivo nessun rumore di voci.
Approfittai della situazione per sgattaiolate dentro e arrivare dove ero stata l'ultima volta.
Mi sembrava di essere una ladra, ma non stavo rubando nulla e poi non stavo facendo nulla di male.

No, vai tranquilla che se ti beccano qua, chissà cosa ti fanno.

Mi ritrovai in mezzo a quelle quattro pareti, girai in tondo osservandole nuovamente tutte e quattro per un'infinità di tempo.

Poi notai che vicino ad una delle pareti, di lato c'era una piccola scala che portava sopra.
Silenziosamente mi avvicinai facendo attenzione a dove mettevo i piedi, data la poca illuminazione che c'era.
Una volta arrivata in cima, quello che mi si presentò davanti fu un vero e proprio spettacolo.

Centinaia di ragazzi erano intenti chi a fare murales, chi faceva acrobazie con gli skate su quella che mi sembrava una pista, chi faceva parkour, chi faceva giochi con le bici e molto altro.
Quella era una seconda città.
Una città per soli ragazzi, dove potevano esprimere loro stessi.
E mai nessuno li avrebbe potuti giudicare.
Era davvero strabiliante.
Mi luccicavano talmente gli occhi, che dovetti strizzarli più volte per non avere la vista appannata.
Mi sembrava di essere in un luna park.
Con la bocca ancora aperta per lo stupore, mi sedetti sul cornicione della parete, ammirando quella bellezza che si stagliava davanti ai miei occhi.

Dei ragazzi poco distanti da me stavano ridendo per una battuta che qualcuno di loro aveva appena fatto.
Notai le loro espressioni.
Sembravano davvero rilassati, non c'era nessuna traccia di ansia o pressione nei loro volti.
Stavano bene.
Alzai un angolo della bocca con rammarico, un senso di nostalgia mi invase lo stomaco.
Faceva davvero male.
Da quando mio fratello non c'era più, nessuno mi aveva visto avere quel sorriso sulle labbra.
Tutto era come se fosse diventato improvvisamente nero, buio.
Tutti dicevano, compresa la mia psichiatra, che una volta toccato il fondo, poi si sarebbe certamente risaliti, ma a me pareva di essere rimasta giù, con una catena alla caviglia senza possibilità di risalire.
E sentivo che l'acqua entrava sempre di più nei polmoni, come a volermi affogare.
Cercavo di urlare, ma era come se fossi diventata improvvisamente muta.

<<Sei davvero una testa dura tu, ti ho detto che non dovevi più tornare qua>>
Trasalii quando una voce alle mie spalle squarciò quella calma che c'era.
Era il ragazzo della scorsa volta.
Deglutii, facendo salire per poi abbassare subito dopo il mio pomo d'Adamo.
Portai una ciocca di capelli che mi era sfuggita dalla pettinatura sfatta dietro l'orecchio, poi mi voltai in sua direzione.
<<C-ciao, scusa ma non, non ho resistito>> torturai il mio labbro inferiore, poggiando gli occhi in basso, più precisamente sulle sue scarpe.
Un rumoroso sospiro scappò dalle sue labbra, poi fece due passi in avanti, avvicinandosi a me per poi sedermi di fianco.
Il suo ginocchio sfiorava impercettibilmente il mio.
Le nostre gambe erano a penzoloni e si muovevano di poco.
Poggiò le mani dietro di lui reclinandosi di poco all'indietro, mandando in avanti il suo bacino.
Io rimasi immobile, non sapendo che cosa fare.
Sapevo che quello che avevo fatto era sbagliato, ma quel ragazzo non poteva comandarmi a bacchetta.
<<Perché non mi mandi via?>> voltai lo sguardo in sua direzione.
Notai che mi stava già guardando.
Abbassai gli occhi arrossendo visibilmente.
<<Non avrebbe senso, ormai sei già qua, e poi se lo facessi, torneresti di nuovo>> pose gli occhi davanti a se mostrandomi il suo profilo.
<<Ma lo sai vero che tornerò un'altra volta, anche se tu non mi mandi via>> passai in rassegna tutto il suo corpo.
<<Si, lo so, so che tornerai quando vorrai, ragazzina te l'ho detto, sei una testa dura>> si morse un labbro per poi rilasciarlo subito dopo.
Riflettei su quello che mi aveva detto.
È vero, aveva capito che tanto avrei fatto come volevo e non poteva impedirmi di tornare quando più mi piaceva.
<<Perché quel simbolo sulla porta d'entrata?>> buttai lì, volevo capirci qualcosa di più e se non domandavo non avrei saputo nulla.
<<Perché la libertà al di fuori di questo posto non esiste, pensa al concetto di libertà, è un concetto per cui ogni individuo con essa può agire, pensare, decidere come più vuole senza nessun tipo di costrizioni o ostacoli, decidendo liberalmente cosa più gli pare opportuno; e questo è quello che non succede nel nostro mondo là fuori, ti vogliono far credere il contrario, ma non è così. Nessuno è libero, siamo solo delle stupide marionette gestite da fili più grandi di noi. Qua invece, nel nostro piccolo mondo in cui siamo adesso, la libertà c'è, qua nessuno ti condanna, nessuno ti critica e nessuno ti accusa.
È per questo che ho disegnato quel simbolo al di fuori di questo spazio, perché qui la libertà non viene negata, mentre fuori si>> si passò una mano tra i capelli, sistemandosi meglio il cappuccio grigio della felpa sulla testa.
Riflettei alle sue parole.
Era chiaro il messaggio che voleva dare, me lo aveva urlato chiaro e tondo, potevo sentire tutto il rancore che provava nelle parole che aveva sputato alla rinfusa, sapevo cosa volesse dire, non siamo mai liberi di agire, non siamo mai liberi di fare nulla, dobbiamo solo sottostare a chi è più forte e potente di noi, ma non capivo il comportamento che usava nei miei confronti.
<<Tu parli di libertà, ma allora perché a me vieti tutto ciò?>> domandai girandomi completamente verso di lui.
Alzò un angolo delle labbra e fece una piccola risata alzando la testa verso il cielo.
<<Ci sono delle cose che non puoi capire ragazzina e con questo ti ho già detto troppo>> aveva la barba leggermente più incolta rispetto all'ultima volta che lo avevo visto.
Il naso all'insù, perfettamente in sintonia con i suoi tratti facciali.
<<Ma chi ha fatto tutto questo? Voglio dire chi ha reso possibile che tutto questo nascesse?>> indicai con il braccio quello che si presentava davanti ai nostri occhi.
Un'altra risata scappò dalle sue labbra.
<<Stenterai a crederci ragazzina, ma ce l'hai proprio davanti, sono stato io insieme ad un amico>> mi rivolse un occhiolino compiaciuto facendomi rimanere di stucco.
Lui aveva creato tutto questo, lui aveva fatto questa sorta di piccola isola terrestre dove ognuno poteva essere se stesso, ma un se stesso in modo positivo.
Qui potevano far cadere le maschere che erano costretti a portare ogni singolo giorno nel mondo, e che ognuno per i loro motivi doveva tenere per sopravvivere in quel mondo schifoso.
Qua potevano essere loro stessi.
<<Tu hai fatto tutto questo? E come ci sei riuscito? Invece quelle pareti, l'ultimo murales, perché non mi vuoi dire che cosa si cela dietro?>> cominciai a porgli una serie di domande a raffica.
<<Ragazzina, fai troppe domande, direi che per oggi hai già saputo abbastanza da me e di me, dato che io non so nulla di te>> si alzò dandosi uno slancio con le gambe aiutandosi con il braccio destro, per poi sovrastarmi con tutta la sua altezza.
<<Ragazzina, ci si rivede>> fece un cenno della testa nella mia direzione, per poi lasciarmi lì, in balia delle mie emozioni e delle mie mille domande.
Con le gambe incrociate rivolsi un'ultima volta lo sguardo a quel mondo, poi urlai nella sua direzione.
<<Sappi che non finisce qua>> era lontano, ma ero sicura che mi avesse sentito, dopo alcuni secondi alzò un pollice verso l'alto, segno che aveva recepito il messaggio.

PER ASPERA AD ASTRADonde viven las historias. Descúbrelo ahora