CAPITOLO 13

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Margherita's Pov

Mi trovavo in una stanza vuota, non c'era nessuna porta da cui poter uscire, le pareti sembravano venirmi addosso, non vedevo nulla,  tutto era nero.
Ad un certo punto un rumore acuto spezzò il silenzio che aleggiava nella stanza.
Poi, mi sentii spostare verso il centro, le pareti incominciarono a muoversi, puntando nella mia direzione.
Non sapevo dove scappare, ero in trappola.
Le mie spalle si appoggiarono alla parete dietro di me,  che mi spinse in avanti, piantai i piedi difronte a me, ogni secondo che passava si avvicinavano sempre più, fino a che non mi fecero piegare le ginocchia contro il mio stomaco.
Tentai di urlare, ma non avevo voce, cercai di salire sopra per scappare, quando ad un tratto le pareti intorno a me caddero per poi farmi precipitare in un buco nero, era un vortice che sembrava non finire mai.
Fino a che non arrivai poi su una spiaggia deserta.
Non c'era nessuno.
Solo il mare che faceva da sfondo alla mia paura che cercavo di non far uscire.
Poi sentii una voce.
<<Margherita, Margherita, ti prego non andare via, aiuto>>
Voltai lo sguardo verso quella voce.
Ero una spettatrice, ad una scena che mai in vita mia avrei voluto più rivedere.
Mio fratello che tendeva la mano nella mia direzione, e che cercava di portarmi via da lì.
Ma la scena era diversa, si era capovolta.
C'ero io sopra quella barca, era me che volevano ed era me che avevano preso.
Mio fratello era in acqua che cercava di rimanere a galla e salire sulla barca, ma quando se ne accorsero un uomo con il volto coperto da una maschera, lo ributtò in acqua con un calcio ridendo a crepapelle.
Io urlai con tutte le mie forze, ma mi buttarono ai piedi dello scafo provocando un tonfo sordo, facendomi zittire.
Poi Tommy, non riemerse più.
Cercai di muovermi per andare in quella direzione, ma ero come se fossi stata immobilizzata.
I miei piedi erano incollati sulla sabbia.
Inerme ero spettatrice di quella scena.
Incapace di fare qualsiasi cosa, mi inginocchiai poggiando le mani sulla sabbia e cercando di regolarizzare il respiro.
Ad un certo punto mi sentii prendere per una caviglia.
Spaventata mi girai di scatto e vidi un altro bambino.
Pensavo si trattasse di mio fratello, ma non era così.
Era perso.
Ma la cosa che mi fece più spaventare furono i suoi occhi, completamente azzurri come il ghiaccio.
Già dai suoi occhi si capiva che mi stava urlando aiuto.
La mano che circondava la mia caviglia destra con estrema forza, era bruciata.
Vesciche gli ricoprivano interamente la mano.
Sentivo il suo dolore che si irradiava nella mia gamba per poi arrivarmi dritto al cervello.
Aveva le labbra spaccate e uno zigomo arrossato, segno che qualcuno gli avesse fatto del male.
In quei due pozzi che erano i suoi occhi mi ci stavo perdendo dentro.
Mille sensazioni mi attraversarono.
Mi stava parlando, ma io non riuscivo a capire, era a pochi centimetri da me, ma era come se fosse a centinaia di chilometri di distanza.
Scossi la testa, cercando di fargli capire che non sentivo nulla.
Vedevo che continuava a parlarmi, ma non capivo, non capivo...
Tutto era come se fosse ovattato.
Sembravo in una bolla.
Poi quando aprì la bocca, essa si ingrandì sempre più, grossi canini si stavano avvicinando a me.
Dalla sua bocca usciva della bava che colò direttamente sulla mia testa.
Stava per inghiottirmi dentro di lei.
E mai più avrei rivisto la luce.
Mi sembra di essere Giona che finiva dentro la pancia della balena.
Solo che lui, alla fine, sarebbe riuscito ad uscire.
Io ero sicura di non potercela fare.

Mi tirai su dal materasso.
Con una mano sul petto, cercavo di regolarizzare i battiti del mio cuore, che sembrava voler uscire dalla gabbia toracica.
Goccioline di sudore mi imperlavano la fronte.
Quel poco fiato che avevo lo stavo consumando,
mentre annaspavo in cerca di altra aria per riempire i polmoni.
Era solo un sogno mi ripetevo...
Solo un brutto sogno.
Guardai la sveglia posta sopra il comodino al mio fianco.
Anche quella volta erano le cinque.

PER ASPERA AD ASTRAWhere stories live. Discover now