CAPITOLO 9

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Margherita's Pov

Erano passate esattamente due settimane.

Due settimane trascorse in modo tranquillo e pacato, senza nessun tipo di intralcio.
E udite udite... senza nessun tipo di figura di merda!
Per me era un record, lo avrei dovuto annotare da qualche, oppure inviare la notizia a tutti i telegiornali locali, no ma che dico di tutto il mondo!
Ma erano anche due settimane che non lo avevo più rivisto.
Da una parte ero sollevata per questo, visto che il mio stato d'animo tornò quello di una volta e non ero più sempre in allerta per tutte le volte che era nel mio radar visivo.
Per dall'altra devo dire che le sue battutine e il suo modo di fare un po' mi mancava; si sentiva la sua mancanza pure a mensa.
Tutte le volte che finivamo le lezioni, eravamo soliti trovarci ad un tavolo in mensa per raccontare tutte le nostre disavventure mattiniere, e chi era giù di corda lui stava sempre come tirarlo su facendo qualche battutina spinta o incominciando una lotta con il cibo, che devo dire, se per caso provavi a lanciarlo a qualcuno, sicuramente ti sarebbe tornato indietro da quanto faceva schifo.
L'unica cosa buona era la pizza,e le patatine, e la pizza con sopra le patatine.
Invece ora anziché preferire mangiare con noi, era solito andare con una biondina diversa ogni giorno nei bagni della scuola, a fare chissà che.
Ma forse il problema ero io, visto che quando non c'ero parlava e rideva tranquillamente con tutti, poi quando arrivavo lui se ne andava.
Uhh qui qualcuno è gelosetta.
Sta zitta per la miseria!
Me se sono te, come faccio?
E quindi dopo il nostro ultimo incontro, ma oserei dire più scontro, che avevamo avuto, non c'eravamo più visti.
Non so perché, ma mi faceva davvero rabbia questo suo comportamento, dopo tutto quella che doveva essere arrabbiata sarei dovuta essere io, e invece no, quello che faceva la vittima innocente e la donna mestruata era lui!
Erano appena le cinque della mattina e anche quella notte non avevo chiuso occhi perché avevo fatto sempre lo stesso sogno.
Devi dire che era da un po' che mi veniva a far visita con molta frequenza.
Sempre la solita persona, ma non riuscivo mai a vederla in faccia, che mi implorava ad aiutarlo e di salvarlo.
Ma salvarlo da cosa?
Non sapevo neppure chi fosse!
Delle volte mi chiedevo se quello fosse mio fratello, il quale  da qualche parte sperduto, e che con qualche messaggio telepatico mi comunicasse che era lui e che lo avrei dovuto aiutare.
Ma poi immediatamente questo pensiero veniva scacciato dalla mia mente, per il semplice fatto che ero sicura che non fosse lui, per un motivo specifico.
Primo tra tutti perché la persona che sognavo aveva dei tatuaggi, che però in tutti i sogni che facevo cercavo di avvicinarmi per capire quali disegni fossero, ma non voleva che mi avvicinassi di troppo a lui, quindi finiva per scacciarmi spintonandomi all'indietro.
Però sapevo dove li aveva.
Uno sul braccio destro e l'altro sulla schiena. Quest'ultimo era molto grande e ricopriva gran parte di essa, mentre l'altro molto più piccolo, ma ben evidente.
E poi in cuor mio speravo che Tommy stesse bene e ora fosse in qualche posto lontano da me, al sicuro da tutto e tutti e in pace con se stesso.
Una lacrima solitaria solcò la mia guancia.
Immediatamente la asciugai con l'indice, cacciando indietro le altre lacrime che erano pronte ad uscire.
No, non potevo più permettere al dolore di prevaricare.
Non volevo più stare male come lo ero stata in tutto quegli anni.
Mi ero promessa che non avrei mai più pianto.
Presi un profondo respiro, trattenni l'aria dentro i polmoni per alcuni secondi, poi buttai fuori, insieme ad essa tutta la negatività che avevo in corpo.
Mi stesi a pancia in su osservando il soffitto bianco, neutro come le pareti di un'ospedale.
Lo osservai così tanto che i miei occhi stavano incominciando a veder sbucare dei puntini neri che si muovevano velocemente, per poi scomparire come erano apparsi.
Mi mancava la mia famiglia.
Mi mancava tutto di loro.
Dai pranzi delle domeniche mattine fatte in giardino, mettendo sulla griglia la carne.
Dalle corse fatte per tutto il salotto per non essere presa da loro per aver fatto qualche marachella oppure solo per divertimento.
Dalle corse che facevamo in macchina per accaparrarci gli ultimi biglietti di un film uscito al cinema che ci piaceva:
Mi mancava tutto ciò.
Come mi mancava anche la mia migliore amica, quella che in pochi anni era riuscita a buttare giù tutte le barriere che avevo costruito nel corso degli anni, ma che lei aveva saputo buttare giù con facilità, diventando così quella che io definivo mia sorella.
Solo che purtroppo non ci vedevamo quasi mai.
Io perché stavo a Miami.
E lei perché aveva deciso di frequentare l'università a New York.
Eravamo lontane da poco più di un mese, ma la mancanza si faceva già sentire, e anche parecchio.
Ci sentivamo quasi ogni giorno tramite via FaceTime oppure ci inviavamo dei messaggi, con tanto di foto imbarazzanti.
Mi alzai con il busto piantando un gomito sul materasso per allungarmi verso il comodino e prendere il telefono.
Mi misi seduta con la schiena ricurva, incastrando dietro l'orecchio una ciocca che era sfuggita dalla mia pettinatura sfatta.
Andai nella galleria scorrendo le immagini per andare a prende quelle che ci eravamo fatte io e la mia migliore amica.
Mentre con il dito passavo da una all'altra, i ricordi riaffioravano uno ad uno.
Ora come ora ne sentivo davvero la mancanza, e avrei tanto voluto che lei fosse qui e mi desse uno dei suoi abbracci che mi spaccavano le ossa, ma che mi rimettevano apposto l'anima e facevano cessare tutto il casino che avevo dentro.
E invece me ne stavo qua, seduta sul letto della mia camera, troppo grande per una sola persona, a cercare di capire quale sbaglio avessi fatto per meritarmi tutto quello che avevo passato.
Ero talmente concentrata dentro al mio flusso di pensieri che riuscii vagamente a percepire il rumore della porta che si chiudeva.

PER ASPERA AD ASTRAWhere stories live. Discover now