CAPITOLO 12

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Margherita's Pov
Il tempo quella mattina non era dei migliori.
Non era prevista pioggia, ma il cielo aveva deciso di assumere una tonalità plumbea, tipica di quel grigio scuro che sembrava fosco, nuvoloso e che ti faceva attanagliare lo stomaco per la sensazione che ti trasmetteva.
Nero, solo e soltanto nero.
Pareva ti volesse dire che lui c'era, e che quando meno te lo aspettavi, ti avrebbe sovrastato con tutta la sua immane potenza e tu come una vittima sacrificale ti saresti dovuta concedere.
Quella mattina però non mi ero fatta scoraggiare e avevo deciso di uscire.
Era sabato, il che implicava che non avevo scuola, quindi mi sarei presa la giornata per me.
Avevo detto alle ragazze che quel giorno volevo stare un po' per le mie e loro avevano accettato senza obiettare.
Erano davvero comprensive con me.
Anche se parecchie volte risultavo scontrosa con loro, sapevano come prendermi e capire la situazione sul momento.
Loro facevano così tanto per me.
Ma io, io cosa facevo per loro?
Nulla.
Avevano intuito che c'era qualcosa che nascondevo, che tenevo segretamente custodito dentro di me.
Nonostante ciò, non si erano fatte problemi a dirmi che quando me la sarei sentita di parlare, loro ci sarebbero state.
Ma come avrei fatto a raccontare tutto?
E quando me la sarei sentita di sputare fuori tutto il dolore che mi attanagliava?
Non ero sicura di potercela fare.
Quella mattina mi ero svegliata con l'intenzione di chiamare i miei per sentire come stavano.
Premetti sul nome sullo schermo, per poi portarmi all'orecchio quell'oggetto infernale che tutti solevano chiamarlo telefono.
Aspettai che qualcuno dall'altro capo rispondesse.
Al terzo squillo, come da prassi risposero.
<<Tesoro! Che piacere risentirti, volevamo chiamarti ieri sera, ma abbiamo preferito che lo facessi tu>> sapevo quanto costava ai miei non chiamarmi ogni giorno.
Gli anni addietro, quando eravamo a New York, ogni due per tre erano sempre a chiamarmi, per accertarsi che io stessi bene, anche se loro avevano in quel momento un'urgenza oppure io ero occupata a loro non interessava, bastava solo che io cliccassi il tasto verde e loro si sentivano immediatamente bene.
Come se così fossi stata al sicuro.
Poi con il passare degli anni, gli avevo fatto capire che così non avrebbero risolto la situazione, e che non erano d'aiuto.
Ora ero solo io che li chiamavo, ma ammetto che un po' mi mancava il loro essere irruenti in tutto.
Mi mancavano.
<<Beh, allora eccomi qua, tutto bene a lavoro?>> non sapevo cosa chiedere, facevo ancora fatica a esprimere quello che davvero volevo.
<<Si, sai me solite cose, ma tutto bene per il momento, tu tesoro? Come va con i ragazzi che hai conosciuto?>> mia madre quando ci si metteva era davvero impicciona, però mi faceva piacere che si interessasse a me.
Alzai gli occhi al cielo, sapendo che non mi poteva vedere.
<<Bene, e sono amici mamma, stranamente qua ho conosciuto tante persone, e sembrano davvero simpatici>> con gli occhi passavo in rassegna tutta la stanza della mia camera, senza soffermarmi su un punto preciso.
<<Oh tesoro, ma io mi riferivo a quel bel ragazzo di cui mi hai parlato la scorsa volta>> di colpo abbassò la voce, come a non essere scoperta da qualcuno.
Molto probabilmente nella stanza insieme a lei c'era papà e non voleva farsi sentire.
Mi grattai il retro del collo in difficoltà.
<<Mamma, ma come fai a dire che è bello se non lo hai neppure visto? E poi non è neppure un amico, è solo il mio vicino di casa>>
Dopo aver detto queste parole, ragionai quello che avevo detto.
Volevo battermi una mano sulla fronte e lanciarmi dal terrazzo per quanto idiota ero stata.
Dall'altra parte non si sentii nessun rumore per alcuni secondi.
Pensai che si stesse preparando per farmi il quarto grado, ma quello che disse dopo mi stupì.
<<Tesoro, sono tua madre, e sento quando qualcosa frulla nel tuo cervellino, e poi cosa credi che Matilde non mi abbi raccontato nulla?>>
Volevo seriamente sotterrarmi.
Sicuramente le avrà raccontato tutto quello che io le ho detto, non risparmiandosi neppure il più piccolo dei particolari.
Poi mi avrebbe sentito.
Per l'ennesima volta in quella mattina alzai gli occhi al cielo.
<<Non ti dirò nulla sappilo, ti ho anche chiamata perché ti volevo dire che ho deciso di cercare un lavoro>> ammisi sedendomi sul bordo del letto aspettando una sua risposta.
<<Ma tesoro, lo sai che puoi sempre contare su di noi, non ce n'è bisogno>> con la voce dolce che solo una madre può avere riuscì a cullarmi come se fossi tra le sue braccia.
Chiusi gli occhi.
<<lo so mamma, ma ne sento il bisogno, devo farlo>> con un groppo in gola cercai di mettere su quelle poche parole che mi uscirono dalla bocca.
<<Va bene, va bene come vuoi tu, ora ti devo lasciare che devo andare, un bacio>> dall'altro capo si udì solo un suono continuo, segno che aveva buttato giù.
Guardai lo schermo nero del mio telefono.
L'immagine riflessa del mio volto era ben visibile all'interno di quel piccolo perimetro rettangolare.
Stavo vedendo una persona diversa, una persona che aveva deciso di andare avanti e di non annegare nel passato che si portava appresso.
Vedeva quella sua nuova vita come una boa in mezzo al mare.
E io mi ci sarei aggrappata con tutte le mie forze.

PER ASPERA AD ASTRAOù les histoires vivent. Découvrez maintenant