CAPITOLO 14

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Margherita's Pov
Raggi di sole penetravano dalla portafinestra che stava alla mia sinistra.
Mi rigirai dall'altra parte, permettendomi ancora di dormire un po'.
Ma io non avevo mai aperto le tende della mia stanza.
E lì ragionai.
In un attimo mi ritrovavo seduta in un letto che non era mio.
Mi portai una mano sulla testa.
Un mal di testa allucinante si stava facendo sentire.
Voltai per vedere la sveglia che avevo sul comodino, ma non c'era se non un bicchiere con un succo di frutta e una pastiglia.
E un post-it con scritto: "bevi e prendila".
Com'era lapidario quel messaggio.
Feci come era scritto e mi sdraiai
nuovamente sul materasso.
Arancia, quel succo di frutta era all'arancia.
Il mio preferito.
Ma dove mi trovavo?
Quella sicuramente non era casa mia.
Presa da non so quale paura, scostai di poco le coperte, vedendo quello che avrei voluto non vedere.
Addosso avevo una maglia nera con il logo dei Ramones, la scostai di poco e un sospiro di sollievo uscì dalle mie labbra vedendo che avevo ancora gli slip.
Poi come un flash tutto mi era più chiaro.
Ieri era il compleanno di Piper!
E oggi era lunedì, e avevo i corsi in università, ma in quello stato non mi sarei mai presentata.
Decisi che quel giorno non ci sarei andata, tanto con il programma ero avanti, e poi mi sarei fatta passare gli appunti da qualcuna delle ragazze.
Ora dovevo solo capire dove ero.
Mi alzai dal letto, cominciando ad ispezionare la stanza.
Il grigio predominava.
Pareti grigie, lenzuola grigie, quasi tutto era grigio.
Fatta eccezione dell'armadio, quello era bianco.
Il letto matrimoniale regnava in mezzo nella stanza.
Ai lati due comodini neri, su cui sopra erano appoggiati un pacco di sigarette, un accendino e un paio di occhiali da sole da una parte, mentre dall'altro il bicchiere che avevo bevuto prima, ormai vuoto.
Una scrivania di mogano laccato era attaccata al muro.
Sopra c'erano un computer portatile e una macchina fotografica.
Uh quindi è un fotografo.
C'erano alcune foto cartacee sulla scrivania, quasi tutte erano dei paesaggi marittimi.
Altre invece rappresentavano dei paesaggi in montagna durante l'alba o il tramonto.
Però erano solo paesaggi, nessuna foto che ritraesse persone.
Davanti a me, un grande specchio occupava tutta la parete, ne approfittai per specchiarmi e vedere le mie condizioni.
C'era di peggio.
La crocchia sfatta in testa sembrava essere diventata un nido di uccelli, ma per il momento lasciai perdere.
Uscii dalla stanza per dirigermi nel salotto.
Piccoli flashback di ieri sera tornarono alla mente.
Io che uscivo dal locale ubriaca.
Le ragazze che mi avevano chiusa in bagno per parlare di Edward.
Ed Edward che mi aveva presa e mi aveva portato a casa.
Oddio no!
Quell'appartamento era di Edward.
Mi trovavo in casa di Edward.
I sensori dentro di me scattarono sull'attenti, dandomi chiari segnali che dovessi andarmene al più presto da lì.
Mentre attraversavo il corridoio mi resi conto delle tante foto che decoravano le pareti.
Foto di Edward insieme alla sua famiglia erano disposte ordinatamente una dopo l'altra.
Curiosa mi avvicinai ad una di essa.
C'erano lui, e altre due persone, molto probabilmente quelli dovevano essere i suoi genitori.
Stava sorridendo davanti all'obiettivo, aveva un sorriso che mai gli avevo visto sulle labbra.
I suoi occhioni azzurri come il mare, erano gli indiscussi protagonisti di quel bellissimo quadro.
Li aveva presi dai genitori, anche loro avevano lo stesso colore, ma meno intenso di quello che lui emanava.
Il suo sorriso era contagioso.
Era in mezzo si suoi genitori e teneva una mano sulla spalla di sua madre e l'altra su quella del padre.
Avrà avuto si e no sei anni.
I capelli sbarazzini, come era la sua personalità, andavano da una parte all'altra.
Diciamo che non è cambiato nulla.
Staccai gli occhi dalla foto per poi arrivare in cucina.
Non era neppure lì.
Non volendo stare con le mani in mano, decisi di prepararmi qualcosa da mangiare, dato che il mio stomaco aveva iniziato a farsi sentire.
Aprii il frigo e vidi che era stracolmo.
C'era tanto di quel cibo che avrebbe sfamato una famiglia di dieci persone.
E per un'affamata come me, vedere tutto quel ben di Dio era oro colato.
Presi le prime cose che mi capitarono tra le mani.
Alla fine optai per fare quelli che erano pancake.
Preparato il tutto, cercai un piatto per metterli, ma quella cucina sembrava essere un labirinto.
Non riuscivo a trovare nulla.
<<Se cerchi dei piatti sono in basso a destra>> la sua voce spezzò il silenzio che aleggiava nella stanza.
Mi portai una mano sul petto colta alla sprovvista.
Dio mi aveva fatto prendere un colpo.
Lo ringraziai flebilmente per poi fare come mi aveva detto.
Presi due piatti, visto che c'era anche lui e non volevo sembrare scortese, dato che questa era casa sua.
<<Grazie, e buongiorno>> dissi dividendo i pancake equamente in ciascuno dei due piatti.
Quando mi voltai, per poco non facevo cadere tutto quello che tenevo in mano.
Era in piedi nel bel mezzo della cucina con solo un asciugamano in vita e con un altro asciugamano che si asciugava i capelli.
Marghe, ti prego ora non sbavare eh...
Deglutii a vuoto per poi posare i piatti prima che mi cadessero.
<<Ehm, ha-hai per caso lo sciroppo d'acero?>> domandai cercando di guardare da tutte le parti, fuorché lui.
<<Nello scaffale in alto>> indicò con un gesto della testa dove lo teneva.
Mi girai per cercare di capire dove fosse, quando lo intercettai, mi alzai sulle punte per cercare di afferrarlo, ma tutti i miei risultati risultavano vani.
Ero troppo bassa.
Dannatamente bassa.
Sentii una risata alle mie spalle.
Si stava prendendo gioco di me eh
Poi tutto ad un tratto la sua figura si avvicinò troppo a me.
Il suo petto stava sfiorando la mia schiena, che in quel momento era coperta solo da un leggero stato di stoffa.
Sentivo il suo respiro caldo che sfiorava dolcemente il mio orecchio.
Piccoli brividi si formarono sulla mia schiena.
Allungò il braccio destro in direzione dello sciroppo, mentre l'altra mano andò ad impossessarsi del mio fianco, stingendolo delicatamente.
Mi ritrovai a deglutire a vuoto per la seconda volta in quella mattinata.
Stavo per diventare un peperone.
<<Ecco a te>> sussurrò
Sbattei più volte gli occhi per riprendermi dallo stato in cui ero, ritrovandomi lo sciroppo a due centimetri dal naso.
Dopo averlo preso, Edward si staccò immediatamente, lasciandomi una sensazione di incompiutezza mista a freddo.
Sto delirando.
Mi sedetti sullo sgabello e posai il piatto sul ripiano dell'isola.
Misi lo sciroppo sui miei pancake per poi metterci un po' di mirtilli che avevo trovato dentro il frigo.
Poi passai a lui i suoi.
<<Perché non l'hai messo anche a me?>> parlò sedendosi fronte a me.
Alzai la testa, con un pezzo di pancake in bocca e uno sguardo corrucciato non capendo.
<<A me non lo hai messo lo sciroppo>> constatò indicando il suo piatto.
<<Non sapevo se ti piacesse o meno quindi non te l'ho messo>>  con un tovagliolo mi pulii la bocca.
<<No, infatti non mi piace>> un ghigno si formò sul suo viso.
Alzai gli occhi al cielo.
Ma allora era rimasto un bimbo per davvero, non era cambiato più di tanto.
<<Ma sai, non si sa mai che una bella ragazza rimanga con me la sera e la mattina voglia mangiare i pancake con lo sciroppo d'acero>> con calma tagliò una banana a rondelle e dopo di che prese la panna per metterla sopra insieme a due pezzi di banana.
Un grugnito di disapprovazione uscì dalle mie labbra.
Chissà quante ragazze aveva portato qui e Dio solo sa cosa ci avesse fatto.
<<Ho visto che hai una macchina fotografica, mi piace, anche se non so neppure come si tenga in mano>> cercai di cambiare discorso non sapendo cosa dire.
<<Già, anche a me piace fotografare, anche dovrei cercarne una nuova visto che si è rotta>> portò alla bocca l'ultimo pezzo di pancake.
L'aria mi stava mancando, fortuna che avevo finito di mangiare sennò non avrei saputo come comportarmi.
Mi alzai per non incrociare il suo sguardo.
Quando stavo con lui, nella stanza la temperatura si alzava drasticamente, sembrava di stare in una sauna.
E poi il fatto che in quel momento fosse solo con un'asciugamano indosso, non rendeva di certo le cose migliori.
<<Comunque quando dormi russi, e anche troppo>> una sua risposta piccata era uscita di nuovo dalla sua bocca.
Prima mi faceva stare bene in una maniera che non sapevo spiegare, facendomi ridere come mai nessuno prima d'ora aveva fatto e un secondo dopo sapeva farmi arrabbiare come una iena.
Di scatto mi voltai per replicare a mia volta, ma in meno di due secondi mi trovai con le gambe sopra il marmo freddo della penisola ed Edward in mezzo ad esse.
Con le mani di nuovo sui miei fianchi mi avvicinò ancora di più a lui.
Io d'istinto allacciai le gambe intorno al suo bacino, come a volerlo ancora più vicino a me.
Un gemito roco uscì dalle sue labbra quando i nostri bacini si scontrarono.
Uno strano formicolio si formò nel mio basso ventre.
La sua testa finì nell'incavo del mio collo sospirando di piacere.
Le mie mani andarono a nascondersi all'interno dei sui capelli ancora umidi per la doccia.
Tracciò una scia di baci che andava dal lobo del mio orecchio fino alla mia clavicola.
Uno strano dejavù mi stava tornando alla mente.
Un flebile sospiro uscì dalle mie labbra.
Con gli occhi socchiusi mi lasciai trasportare da tutte quelle sensazioni.
Presa da non so quale coraggio, spostai le mie mani per tracciare un percorso ed arrivare al retro delle sua possente schiena per spingerlo ancora di più verso di me.
Un gemito uscì contemporaneamente dalle nostre bocche.
La sua bocca morse più forte un lembo della mia pelle.
Avevo capito che mi stava facendo un altro succhiotto.
Cominciai anch'io, portando la mia bocca sul suo collo, lasciando piccoli e soffici baci.
Le sue mani strinsero ancora di più i miei fianchi, poi velocemente una sua mano si andò ad infilare sotto la maglia che indossavo.
Smisi di fare tutto quello che stavo facendo impaurita.
<<Tranquilla, rilassati non voglio fare nulla>> baciò il mio orecchio con fare rassicurante.
Lasciai uscire dalle mie labbra un sospiro di sollievo.
La mano che aveva sotto la maglia, la portò sul mio fianco, facendo dei cerchi concentrici sopra di esso.
Nuovo brividi mi attraversarono il corpo.
Mi avvicinai ancora di più a lui, non lasciando che neppure un filo d'aria passasse tra i nostri corpi.
Il contatto con il suo petto nudo fece risvegliare tutti i miei sensi.
Passai a tracciare con leggerezza tutta la sua schiena, per poi arrivare alle sue spalle e toccare con delicatezza il suo petto scolpito.
Le sue mani brandivano ancora i miei fianchi, aprendo i palmi, come a voler toccare più pelle possibile.
Non stavo più ragionando.
Mai con nessun ragazzo mi ero spinta così oltre come con lui.
E anche se lo conoscevo a malapena, mi fidavo di lui.
Mi fidavo come non mai.
Mi sembrava di conoscerlo da una vita.
Come se fossero stati due calamite che si erano perse per poi rincontrarsi nuovamente.
Mi trovavo nella mia bolla di piacere, quando una mia gamba sfiorò qualcosa di prosperoso facendolo gemere vigorosamente.
Aprii di scatto gli occhi.
Mi ricordai della frase che ieri sera Ava mi disse.

"Lui bacia e basta, non marca mai il territorio con dei succhiotti"

No, tutto questo era sbagliato, non doveva succedere di nuovo, e io ero ricaduta nella trappola del topo.
Non potevo.

Colta dall'imbarazzo, mi staccai da lui e in meno di un secondo ero girata di spalle nel mezzo della grande cucina.

<<No, non posso tutto questo è sbagliato>> con le mani che si stuzzicavano tra loro, fu tutto quello che dissi in un sussurro per poi prendere le mie cose e uscire da quel l'appartamento.
<<Grazie per avermi riportata a casa... sana e salva ieri sera>> dopo questo uscii di casa non dandogli il tempo neppure di parlare.

Quando entrai nel mio appartamento, una strana sensazione si fece spazio dentro di me.
Una parte di me voleva aprire la porta e tornare di la con Edward.
Repressi quella parte di me.
Mi infilai subito nella doccia, cercando di togliermi di dosso tutto il suo odore, ma non voleva sapere di andarsene via.
Dopo che per la ventesima volta strofinai la spugna sulla mia pelle facendola arrossare, decisi che dovevo smetterla.
Uscita dal box doccia, vidi la sua maglia al centro del bagno.
Lì, inerme, ma che mi rifaceva pensare a quello che era successo prima.
La portai con me in stanza,per poi piegarla accuratamente e posarla sopra il letto.
La sforai con le dita, poi come scottata, ritrassi subito la mano.

Andai a prendere il telefono nella borsa per vedere chi mi avesse messaggiato.
Una volta acceso, una marea di messaggi mi apparse sulla schermata.
Alcuni erano dei miei genitori come mi chiedevano come stessi e se andavo bene con lo studio, altri erano delle mie amiche che mi chiedevano maggiori informazioni su tutto, presumo che allora gli avessi raccontato di quelli che era successo tra me ed Edward.
Uno era di Matilde, che come suo solito era una battuta di pessimo gusto.
L'ultimo era di Edward, di pochi minuti fa:

"Stamattina sono andato a recuperarti la macchina che avevamo lasciato al locale, le chiavi sono sul mobiletto davanti all'ingresso e prima che tu te lo stia chiedendo, no non sono uno scassinatore di porte, ho semplicemente preso le chiavi di scorta che tieni sotto il vaso, comunque grazie per avermi fatto completare l'opera della scorsa volta e se non lo avessi capito quello era un mio buongiorno"
una faccina sorridente che faceva l'occhiolino alla fine, mi faceva capire che quello che era successo prima non lo aveva minimamente toccato.
Avvampai all'istante, capendo solo dopo pochi secondi quello che aveva scritto.
Era imperterrito quel ragazzo.
E dovevo ancora capire dove diavolo aveva preso il mio numero di telefono.
Ah giusto, eravamo in un gruppo insieme.

"Però almeno un grazie per la macchina potrei riceverlo... scorbutica"
Un altro suo messaggio mi arrivò subito dopo.
Uno stupido sorriso mi increspò le labbra.
Eravamo a meno di due metri di distanza e ci stavamo parlando tramite degli stupidi messaggi.
In verità è solo lui che ti scrive.
E poi te ne sei voluta andare via tu, io ci stavo anche bene.

"Va bene Girasole, cercherò di prendere il tuo silenzio come un tuo tacito grazie, ci si vede"

Questo fu l'ultimo messaggio che mi scrisse.

Lasciai perdere i suoi messaggi, chiudendo la sua chat per poi andare a leggere nei promemoria che cosa dovessi fare quel pomeriggio.

Giusto! Dovevo andare da Edith al negozio di tatuaggi.
Cavoli e me lo stavo pure per dimenticare.

Ovvio, un ragazzo di nome Edward ti stava facendo letteralmente perdere la testa.

PER ASPERA AD ASTRAWhere stories live. Discover now