CAPITOLO 11

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Margherita's Pov
Sempre la stessa storia e sempre lo stesso maledetto sogno.
Repressi un grido di frustrazione coprendomi la bocca con il cuscino.
Cercando di soffocare tutto quello che mi attanagliava.
In casa ero sola, Matilde era partita il giorno prima, non prima di avermi raccomandato di fare la brava e di non cacciarmi in strane situazioni.
Come quella che era successa alla festa di Halloween.
Le avevo accennato qualcosa, ma non ero andata nello specifico, non me la sentivo.
Volevo che rimanesse una cosa mia.
Una cosa nostra.
Erano passati due giorno e di lui nessuna traccia.
Diamine mi stava per baciare, e ora non si faceva vivo, ma cosa aveva in quella testa?
Il giorno dopo credo di aver ringraziato tutti i santi che potessero esistere per non averlo baciato.
Sicuramente sarebbe successo un disastro.
Dopo che mi riportò a casa, sembrava stranamente tranquillo, ma poi tutta quella incantevole magia si era spezzata subito dopo che qualcuno lo chiamò al telefono.
Non riuscii a leggere chi fosse, era stato troppo veloce a metterlo in tasca e non farmi vedere nulla.
Era davvero strano.
Mi alzai, guardando l'ora che veniva segnata dalla mia sveglia accanto al comodino, e quando capii che nulla mi avrebbe fatto più riaddormentare, decisi di andarmi a preparare per andare a correre.
Facevo sempre lo stesso sogno, ma ogni volta era diverso.
Tutte le volte il posto dove ci trovavamo cambiava, ma non riuscivo mai a ricordarmelo una volta sveglia.
Questo occhi magnetici che mi pregavano, in una preghiera silenziosa, muta.
Solo che questa volta ci si emisero di mezzo anche quelle persone mascherate che avevo visto quella volta nel locale.
Con tutto il mio cuore speravo che si trattasse solo di uno scherzo e alla fine mi convinsi che quella sera era Halloween e tutti avevano una maschera.
Al solo ricordo mi vennero i brividi.
Davanti a me c'erano le tende grigie della mia camera che andavano a coprire il vetro della porta finestra, non l'avrei mai più riaperta.
Sarebbe stato come riaprire una ferita che ancora sanguinava.
Lasciai alle mie spalle il palazzo dove abitavo per poi addentrarmi nelle vie caotiche di quella Miami a inizio novembre.
Per essere state le cinque della mattina, c'era un gran via vai di persone.
Chi si recava per andare a lavoro con il solito caffè in mano da asporto, che aveva preso nella caffetteria sotto casa.
Chi rientrava da una nottata di fuoco e di passione, ed era un po' stordito perché aveva ancora dentro di se una buona dose di alcool non ancora digerita.
Chi correva, tenendo il proprio corpo in costante allenamento, chi per proprio interesse personale, e chi per avere qualcosa da sfoggiare come se fosse un cimelio o un premio che si è conquistato con sudore e fatica.
E chi invece come me, che era perso nei propri pensieri e stava cercando di non annegare.
Ogni mio passo andava a ritmo della musica che stavo ascoltando in quel momento.
Nelle mi orecchie rimbombava la canzone dei Bee Gees, staying alive.
Come un mantra la stavo ripetendo nella mia testa.

I've been kicked around since I was born.
But now it's all right, that's okay.
I'm a-stayin' alive, stayin' alive.

Stavo macinando sempre più metri, davanti a me vedevo solo la strada che dovevo percorrere, nulla di più.
I palazzi, le macchine, le persone che uscivano dai bar, era tutto un di più.
In questo momento stavo vivendo nella mia bolla personale.
E non ci avrei fatto entrare nessuno.
Il sudore, che ormai stava imperlando la mia fronte, cadeva andando ad insinuarsi nelle cavità dei miei occhi, per poi scendere e arrivare ai lati della mia bocca.
Istintivamente me la toccai, sia per ripulirmi dal sudore, ma anche perché la mia mente in pochissimi secondi ritornò a quel momento.
Le sue labbra avevano impercettibilmente sfiorato le mie.
Per pochi secondi avevo avuto il suo respiro a stretto contatto con il suo.
Se non ci avesse interrotti il proprietario di quella casa, chissà come sarebbe andata a finire la situazione,
E non sarebbe stata a mio favore.
Ma come no, ovvio che sì! avresti avuto sicuramente la lingua in bocca di quel manzo e sicuramente anche qualcos'altro.
La mia mente in quel momento immaginò un finale decisamente diverso, da quello che mai avrei pensato, facendomi arrossire più di quanto non lo fossi già a causa dello sforzo che stavo compiendo.
Ma ora mi mettevo a fare pensieri così intimi su di lui?
Il mio flusso di pensieri tornò ad essere quello di prima, chiudendo la parentesi Edward.
Il mio iPod, passò in rassegna un altro tipo di musica a me sconosciuta.
Cercai di fare mia anche quella canzone cercando il passo giusto da andare a ritmo.
Dopo tre passi, svoltai l'angolo e per poco non feci cadere per terra una ragazza.
<<Oddio scusami, non ti avevo vista>> mi tolsi le cuffie dalle orecchie per recuperare i fogli che le erano caduti.
<<No, non ti preoccupare, sono io che in questi giorni ho la testa da tutt'altra parte>>
Al suono di questa voce scattai con la testa verso di lei.
Vidi che indossava un maglione verde scuro e un jeans chiaro e ai piedi portava delle ballerine nere.
Quando alzò lo sguardo potei riconoscerla.
<<Ehi, ma sei quella della festa>> pronunciammo all'unisono.
Lei fece una piccola risata per la situazione comica.
<<Già>> dissi io porgendole i fogli che avevo raccolto.
Lei accennò un flebile grazie.
<< Piacere Summer>> mi porse la mano stendendo il braccio verso di me.
<<Piacere mio, Margherita>> pulii la mia mano ai alti dei pantaloni per poi stringerla nella sua.
<<Siamo destinate a incontraci così>> alludendo al fatto che ci siamo scontrate proprio come alla sera della festa.
Io non potei che annuire con la testa.
<<Senti, visto che ci siamo già presentate, saltiamo tutti i convenevoli per andarci a prendere un caffè insieme, sempre se vuoi ecco>> mise le mani in avanti cercando di non essere troppo espansiva.
<<Va bene, okay>> accettai senza esitazione.
Due caffè e cinque muffin al cioccolato dopo eravamo ancora dentro una caffetteria e stavamo parlando animatamente.
Come se fossimo due amiche che si conoscevano da una vita e che si erano perse di vista per un breve periodo di tempo, e che ora si erano ritrovate.
Era piacevole parlare con Summer, ti sapeva portare in argomenti a te sconosciuti, ma alla fine ti faceva provare interesse per questi, senza che tu ne accorgessi.
Mi aveva raccontato quasi tutta la sua vita.
Mi meravigliai del fatto che alcune persone si potevano aprire così tanto, anche con soggetti che non fossero loro amici parenti i quant'altro.
Ma che per loro erano solo sconosciuti.
La mia psichiatra che mi seguiva fin da bambina, diceva che le persone erano solite aprirsi più facile con persone a loro del tutto estranee, piuttosto con i loro cari, era tutto un fattore psicologico, perché pensavano che così non le avessero giudicate per quello che avevano fatto o subito.
Ma io non la vedevo così.
Ho sempre pensato che le prime persone a giudicarti, fossero quelle che più non ti conoscevano, e ti criticavano solo per dire la loro opinione e apparire come persone giuste e per bene agli occhi degli altri.
Era per questo che io non parlavo mai con nessuno della mia vita personale, delle volte non riuscivo a parlare neppure di quello che avevo fatto durante la giornata con quelli che reputavo miei amici o i miei genitori.
Solo con la mia migliore amica risultava semplice.
Con lei potevo parlare tranquillamente di tutto, non c'era nessun filtro che mi impedisse di essere me stessa.
E pensavo che ora Summer stesse facendo la stessa cosa con me.
Ma lei poteva stare tranquilla, non l'avrei mai giudicata.
Ora mi stava parlando di come si era interessata alla fotografia e che delle volte si prestava per fare qualche scatto fotografico a modelle famose.
Con una certa scintilla negli occhi, mi parlava di come come grazie a questo su hobby, aveva avuto l'opportunità di andare alla scoperta di nuovi posti, nuovi mondi che l'avevano affascinata, a tal punto di rimanerci per settimane, se non addirittura mesi.
Io non avevo mai fatto un viaggio senza la mia famiglia.
L'unico che avevamo fatto, era stato insieme a Tommy, quando io avevo otto anni e lui undici.
Mi ricordo che quell'anno avremmo scelto io e lui la meta.
E alla fine, con numerosi battibecchi e urli tipici dei bambini, optammo per andare a Disneyland Paris.
Quei giorni sono stati davvero una magia.
Sembrava di essere in un sogno.
Fino a quando poi tragicamente mi sono risvegliata e ho dovuto fare i conti con la realtà.
Summer mi ridestò dai miei pensieri porgendomi una domanda.
Eravamo davanti al bancone e stavano litigando sul fatto che tutte e due volevamo pagare, alla fine lei ebbe la meglio visto che aveva insistito parecchio e le faceva piacere.
Non capii quello che mi aveva chiesto fingendo di non aver capito per la troppa confusione che c'era nel locale.
<<Ti ho semplicemente chiesto se vuoi che ti faccia qualche scatto, sei una bella ragazza ho visto del potenziale in te, giuro che non te ne pentirai>> alzò le mani portandosele verso il petto, con un sorriso dolce sulle labbra.
Io, una che si mette in posa per delle foto?
Ma se nemmeno durante le foto dei pranzi in famiglia riuscivo a stare ferma.

Inclinai di poco la testa per poi riderle in faccia.
Mi resi conto di quello che stavo facendo dopo che incominciò a guardarmi strana, incrociando le braccia al petto, come se fosse stata colpita nel profondo.
Mi ricomposi subito.
Assunsi una posizione naturale, dondolando sui miei piedi, alternando il peso da una parte all'altra.
<<Ma sei proprio sicura? Non saprei, dirtelo così su due piedi non so... posso pensarci>> fu tutto quello che dissi.
Non pensavo mi chiedesse una cosa del genere.
Sinceramente non avrei saputo nemmeno da dove partire.
Anche se sapevo che erano delle semplici foto che poi avrei tenuto io per ricordo.
Ma mi imbarazzava l'idea di farmi fare delle foto.
<<Certo, sicurissima! Te l'ho detto, ho occhio per queste cose, tu intanto pensaci, tieni questo è il mio biglietto da visita, in basso c'è il mio numero di telefono e quello del mio studio, per qualsiasi dubbio curiosità, o altro non fare complimenti, sono sempre a disposizione>> controllò l'ora sul quadrante del suo orologio che portava al polso destro.
<<Ora devi seriamente andare perché si è fatto veramente tardi, mi raccomando pensaci bene!>> mentre era alla macchina urlò per farsi sentire, penso che con il tono che aveva usato, l'avessero sentita a più di dieci chilometri di distanza.
Entrò in macchina per poi farmi cenno con la mano.
Io ricambiai.
Con il cappuccio in testa per coprirmi da qualcosa a me ignoto, e il suo biglietto da visita in tasca, pensai a quanto erano strani quelli che abitavano a Miami.

PER ASPERA AD ASTRAWhere stories live. Discover now