I know it's not the end

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«Yoongi, cosa vuol dire che c'è Kim Taehyung fuori dalla mia classe che chiede di me?» Provò a urlare sottovoce Jeongguk, il cellulare premuto contro l'orecchio in attesa di una risposta da parte del suo migliore amico. Sapeva che ci fosse il suo zampino in quella storia, era oltremodo impossibile che Taehyung si fosse presentato davanti la sua classe e lo stesse cercando di sua spontanea volontà.

«Quindi ogni tanto il cervello gli funziona.» Mormorò Yoongi e, nonostante ciò, Jeongguk riuscì perfettamente a comprendere ognuna di quelle singole parole che non fecero altro che confermare la sua ipotesi. Prima che Jeongguk potesse ricominciare a disperarsi, Yoongi aggiunse. «Ti vuole parlare, vai da lui.»

«Cosa?» Questa volta il tono della sua voce si alzò, facendo voltare quei pochi compagni di classe che erano ancora seduti ai loro posti. Jeongguk rivolse loro un sorriso di scuse prima di rivolgersi nuovamente al suo amico. «È impossibile che stia davvero cercando me, per caso devo ricordarti il modo in cui mi ha trattato?»

«Me lo ricordo bene il modo in cui ti ha trattato e sicuramente è lì per questo motivo, quindi esci da quell'aula e vai a parlargli.» E il tono autoritario di Yoongi non ammetteva altre repliche. Jeongguk sospirò.

«D'accordo.» Ma la frase era chiaramente rimasta a metà, Yoongi lo conosceva fin troppo bene da sapere che non era ancora arrivato il momento di terminare la chiamata.

«Cosa c'è adesso?» Anche Yoongi sospirò rassegnato.

«Ho sicuramente i capelli spettinati e—» Improvvisamente Jeongguk si ritrovò a parlare con il suono meccanico di una chiamata appena terminata. Grugnì contrariato, aveva ancora bisogno del supporto del suo migliore amico per affrontare Taehyung, come aveva potuto chiudergli il cellulare in faccia?

Si passò una mano sul viso all'ennesima compagna di classe sotto shock che gli annunciava per l'ennesima volta che Kim Taehyung, il più bello della scuola, lo stava aspettando proprio davanti la porta dell'aula e che, se fosse stata in lui, non l'avrebbe fatto aspettare un altro singolo istante. Jeongguk, al contrario, avrebbe preferito seppellirsi vivo pur di non lasciarsi intimorire nuovamente dal suo sguardo che, ne era sicuro, lo avrebbe giudicato un'altra volta.

Si alzò dal suo banco come se stesse compiendo lo sforzo immane di portare sulle spalle un peso di duecento chili, le mani stentarono a lasciare il bordo del banco, appigliandosi ad esso fino all'ultimo secondo come se fosse una fonte di salvezza. A passi lenti e pesanti raggiunse la porta che, socchiusa, gli permetteva già di intravedere il viso perfetto di Taehyung, accompagnato dalla sua solita espressione scocciata. Chissà quanto entrambi, seppure per motivazioni diverse, non desiderassero per nulla al mondo trovarsi in quel luogo, in quel momento e in quella situazione.

«Mi hanno detto che mi stavi cercando.» Fece il primo passo Jeongguk dopo essersi schiarito la voce per informare l'altro ragazzo della propria presenza. Quell'improvvisa sicurezza nel suo tono, tuttavia, venne tradita dal movimento delle sue dita che s'agitavano con frenesia, ancora una volta a causa di quella sua incapacità di gestire le emozioni. Fu costretto a stringerle fra di esse e nasconderle dietro la schiena: non amava offrire su un piatto d'argento le proprie debolezze, a maggior ragione se davanti si trovava uno come Kim Taehyung.

«Vieni con me.» E, senza dargli modo di ribattere, Taehyung s'era già voltato per dirigersi verso l'unico posto dove aveva la certezza che nessuno li avrebbe visti né disturbati. Sperò che Jeongguk lo stesse seguendo, perché l'ultima delle cose che desiderava era portare quella faccenda per le lunghe. Ne ebbe la conferma solo quando lo avvertì al proprio fianco.

Il posto in cui Taehyung desiderava parlargli si rivelò essere la terrazza, un luogo che nessuno frequentava mai perché non era permesso. Se un professore t'avesse scoperto a salire quelle scale strette e buie che conducevano alla terrazza, come minimo t'avrebbe registrato una bella nota con tanto di punizione. Taehyung ne aveva già fatto esperienza un paio di volte insieme ai suoi amici, eppure continuava a recarsi lì perché forse l'ebbrezza del pericolo che comportava l'infrazione delle regole gli dava una particolare scarica di adrenalina.

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