20.

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Thomas

Tre giorni. Solo tre giorni dall'ultima volta che si era permesso di farlo, subito dopo aver preso le pillole sulle quali si era ripromesso di non contare. Era di nuovo punto e a capo. Non voleva crederci, non voleva pensare che avesse appena buttato via quattro mesi. Aveva fallito. Di nuovo. Per l'ennesima dannata volta. Aveva fallito.

Si guardò il braccio sinistro, scoperto, la mano stretta a pugno, le vene gonfie su di esso erano più visibili che mai, così come lo erano quelle sul braccio destro.
E la pelle lucida dove stanziavano le cicatrici, dove sarebbero rimaste impresse a vita, anche quella era ben visibile.

Thomas strinse i denti, appoggiando la schiena alla parete. Era intenzionato a fare una doccia per poter calmare i nervi, rilassare i muscoli, ma ormai dubitava potesse migliorare anche solo di poco.

Il suo cellulare squillò, interrompendo il silenzio e facendolo sussultare.
Si avvicinò al letto, sul quale lo aveva lanciato pochi attimi prima, e quando lesse il nome sullo schermo ebbe l'impulso di chiudere immediatamente la chiamata, ma cercò di calmarsi e rispose.

«Lorient» pronunciò voce atona, si lasciò cadere sul bordo del letto, disegnando cerchi sulle lenzuola con la mano libera dal telefono, il cuore gli stava battendo poco più forte: accadeva spesso, quando si trattava del ragazzo di Newt, e non era una sensazione piacevole.

«Keighley» ricambiò con voce altrettanto distaccata, «Come andiamo? Hai saltato l'allenamento di martedì. Hai intenzione di partecipare ai campionati di questo quadrimestre o ti ritiri?» il tono era derisorio.

«Non mi pare sia affar tuo ciò che decido di fare» replicò Thomas stringendo i denti.

«No, infatti non è solo mio. È affare della squadra, Keighley. L'allenatore è rimasto deluso. Non l'hai avvisato. Minho ha detto che non ti avrebbe riferito niente, così lo sto facendo io» ribatté George.

«Lorient, ma che diamine vuoi, me lo dici?» Thomas sbuffò, guardando lo schermo del cellulare e la chiamata in vivavoce.

«Niente, solo questo.»

«No, non è vero. Non mi hai mai chiamato, perché dovresti ora? Avanti, parla, se non sei un dannato codardo.»

Vi furono attimi di silenzio, Thomas cominciava a stancarsi, era arrabbiato, sull'orlo delle lacrime, e non voleva assolutamente lasciar trasparire niente, in chiamata con George.

«È stato un mese intenso, per me e Newt, sai» esordì allora il ragazzo dall'altro lato del telefono, «E bellissimo. La nostra è una relazione più che seria, Thomas. Tirati indietro, ti dico solo questo.»

«Ma che...» Thomas cominciò a tremare, «Guarda che Newton non mi è mai interessato. Ci vediamo semplicemente per le ripetizioni, George. Non venirmi a fare discorsetti del genere, non siamo all'asilo.»

Per quanto male facesse, era vero. Da quando Newt aveva cominciato a frequentare George, il tempo che passavano insieme era diventato sempre meno. Si limitavano a vedersi una o due volte alla settimana, a salutarsi velocemente le poche volte che il ragazzo portava Elizabeth da Emmeline e, per puro caso, Thomas era da sua zia. Ma oltre quello, c'erano quanti meno contatti possibile. E quella distanza cominciava a far male.

«Ti sto solo dicendo che lui di te non ha bisogno, ecco tutto. Smettila di provare a parlargli e approcciare. Credi che non abbia notato come lo guardi e cosa tenti di fare? Va bene una volta, due, ma adesso devi proprio smetterla. Volevo solo chiarire, ecco tutto.» George parlò con un tono tranquillo, superficiale, Thomas strinse i denti, dopo pochi secondi la chiamata venne interrotta.

A quel punto, non riuscì più a resistere.

Le lacrime stillarono dai suoi occhi, salate, calde e piene di amarezza, Thomas si piegò, stringendo le braccia allo stomaco. Una fitta di dolore lo colpì, costringendolo a serrare le labbra, gemette, soffocando un singhiozzo, poi un altro. La testa cominciò a dolere, le tempie pulsavano e tutto attorno a lui divenne una macchia indistinta.

Si alzò dal letto, aprendo l'armadio e frugando tra i vestiti per cercare la fiala che conteneva le pillole. Quando la trovò, la tenne in mano per lunghi attimi, fissandola con insistenza, mentre le lacrime continuavano a bagnargli il viso e la rabbia, la frustrazione, la tristezza a corroderlo dall'interno.

Il pugno si chiuse attorno al piccolo barattolino di vetro, Thomas lo scagliò contro la parete con tutta la forza che si trovava in corpo, ed il contenitore finì in pezzi nell'esatto momento in cui toccò il muro.
Le sfere ellittiche si sparsero sul pavimento, rotolando in tutte le direzioni.

Indietreggiò contro l'armadio chiuso, facendo aderire la schiena all'anta e lasciandosi scivolare sino al pavimento. Dire che era esausto era un eufemismo, si sentiva completamente a pezzi, nella sua mente i vortici di pensieri non s'arrestavano e, da qualche parte dentro di lui, anche il panico si stava facendo strada.

Liberò un singhiozzo, al quale seguì un colpo di tosse. Thomas batté lievemente la testa, ma non gli importava. In quel momento niente aveva minimo valore, ma era consapevole che doveva semplicemente aspettare che finisse, perché era sempre così.

Doveva aspettare che giungesse al culmine, con la speranza che lui non sarebbe stato distrutto prima.

Cercò di alzarsi, con la vista annebbiata e la testa dolente, si diresse verso il bagno, senza preoccuparsi di prendere i vestiti.

Era da solo a casa, non importava cosa facesse, non c'era nessuno.

Non importa a nessuno.

Thomas tolse i jeans, che erano l'unico indumento che indossava oltre l'intimo. Sfilato anche quest'ultimo, aprì l'acqua, lasciandola scorrere.

Newt non ha bisogno di te come tu ne hai di lui.

Aprì le ante scorrevoli della doccia, entrandovi.

L'acqua eccessivamente calda lo avvolse facendolo sussultare e scottandogli la pelle già sensibile delle cosce, Thomas vide nuovamente piccoli rivoletti di sangue e ne fu tremendamente amareggiato. Sentì un'altra ondata di rabbia colpirlo, come uno schiaffo in pieno viso, dato all'improvviso.

Picchiò il muro con entrambi i pugni chiusi, poggiando la fronte sulle piastrelle fredde e bagnate, le lacrime adesso si confondevano con le gocce d'acqua.

Newt ha George, adesso.

Si rifiutò di accettare quel pensiero, diede un altro colpo al muro col palmo della mano, strizzando gli occhi.

George non poteva avere ragione, perché non sapeva quello che lui e Newt avevano trascorso nel periodo antecedente il fidanzamento, seppur breve. Non aveva idea di tutti quei momenti...

«Basta!» urlò Thomas, «Basta. Per favore...» sussurrò, mentre un verso di dolore gli abbandonava la bocca.

Il dolore lo stava divorando dall'interno, un dolore che non poteva curare. Come si poteva intervenire quando la ferita che sanguinava era nell'animo? L'emorragia si trovava nello spirito, non nel corpo. Come si poteva curare un dolore che non era fisico?

Si sentiva lacerato, aveva lasciato di nuovo il controllo alla sua mente e riusciva a contrastarla sempre meno, il suo cuore stava battendo forte, urlando pietà assieme alla sua parte più razionale, ma più danneggiata, mentre nella sua testa i pensieri negativi continuavano la loro danza.

Se non ha bisogno di te, quale motivo hai adesso per continuare?

Thomas voleva rifiutarsi di credere a George, ma le sue emozioni, i suoi sentimenti dicevano altro. La sua mente diceva che era evidente dai comportamenti di Newt nell'ultimo periodo che non avesse più bisogno di lui, che si limitava al paio d'ore di ripetizioni perché era costretto, non per piacere. Si era allontanato, la verità era quella. Non ci sarebbe stato niente di analogo ai momenti che avevano vissuto, in futuro. Tutto ciò che rimaneva era il niente.

Quando l'unica persona che abbia mai amato veramente sceglie qualcun altro, mi esclude dalla sua vita, comincia a distanziarsi... allora che cosa mi rimane? Si chiese Thomas, mentre l'acqua calda continuava a scorrere, così come le lacrime sul suo volto. A cosa devo aggrapparmi per sopravvivere?

Il dolore scoppiò dentro di lui.
Avvertiva un pulsare così forte alla sua testa da togliergli il respiro, il cuore cominciò a battere più forte, singhiozzò più e più volte, il corpo tremava, il petto si alzava e abbassava.

Non posso farcela.

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