⚜️ Mors tua, vita mea

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Un fruscio d'ali gli colpì la schiena e solo allora si decise a sollevare la testa.

Il corpo di Vasilis era inerte, straziato sotto di sé, e nella morte lo seguirono le appendici nere che si erano dipanate dalla sua ombra accartocciandosi in terra con lunghi sibili. Kytos avvertì dei movimenti. Gli uomini guidati da Lysandros che tentavano di pugnalare a morte il cuore di Xibrog. I Vallevento che si radunavano attorno al corpo di Eve. Le viverne atterrate dal mondo sovrastante che lo circondavano con il capo abbassato.

Una di loro gli si avvicinò emettendo un grufolio docile e infilò il muso sotto il suo braccio come se fosse in cerca di calore. Kytos si convinse che fosse una sorta di tentativo di consolarlo. Chiuse gli occhi un istante, poi le sfregò le nocche in mezzo alle narici e trovò la forza di issarsi in piedi. Alle creature bastò un cenno mentre si allontanava perché si gettassero sul corpo di suo fratello e ne divorassero i resti.

Che non rimanesse più alcuna traccia di lui.

Il volto di Kytos rimase impassibile mentre strappava l'ascia dalle mani del gardrosiano morto in terra e si dirigeva lentamente verso il cuore del gigante. Fu un burattinaio invisibile a guidare le sue volontà, perché la sua mente era altrove, dissociata dal un corpo incapace di sopportare la consapevolezza di aver ucciso tutto ciò che aveva di più caro al mondo.

Maia. Suo padre. Suo fratello. Eve.

La cotta di maglia, unica protezione sui gambali a essergli rimasta, tintinnò durante il tragitto. Il filo dell'arma sibilò contro il pavimento di roccia, mentre gli occhi se ne stavano inchiodati a quella cupola che brillava di luce ormai verde.

«È diamante» ansimò Lysandros, asciugandosi la fronte con il dorso della mano. «Non riusciamo a scalfirlo.»

Kytos rinvenne e indurì lo sguardo. «Perché non avete colpito abbastanza forte.»

«Ad alte temperature può decomporsi in semplice carbonio» mormorò Theo, tirando su col naso. «Forse così sarà più facile.»

«Molto bene.» Il Re di Gardros fischiò al branco di viverne e fece cenno ai soldati di arretrare. Lysandros provò ad avanzare una qualche osservazione, ma venne messo a tacere con un'occhiata. I rettili volarono attorno alla cupola, irradiati dal bagliore che si sprigionava dal terreno. Kytos sollevò il braccio e lo riabbassò rapidamente.

Un istante dopo, la cava si tramutò in un inferno. Nubi di fuoco inglobarono il cuore e le temperature si impennarono. Gli uomini iniziarono a tossire e allontanarsi il più possibile, molti si schiacciarono contro le pareti per guadagnare maggiore ossigeno, altri cercarono di sganciare le armature per non ustionarsi a contatto con il metallo rovente. Kytos si liberò della cotta e impugnò l'ascia con entrambe le mani.

Il calore gli compresse i polmoni nel petto e ogni centimetro del suo corpo reagì imperlandosi di sudore. Sbuffò per la fatica e, con le vene che scoppiavano, sollevò l'arma e la calò contro il cuore del gigante. L'impatto causò un'esplosione di scintille, ma lo fece ancora. Simile a un fabbro che lavorava la più preziosa delle spade, dove l'ascia era il martello e il diamante la sua incudine. Il fumo sfregò contro le vie respiratorie. Tossì.

Ma ogni volta colpiva più forte e in quella violenza imprimeva il tutto il dolore, tutta la sua la rabbia. Al clangore dell'acciaio rispose con le urla, ai muscoli dilatati per lo sforzo con una botta più potente, fino al momento in cui nel cuore di Xibrog si aprì una fessura.

Uno spiraglio.

La montagna tremò e Kytos guardò in alto, verso la fine del tunnel. La bocca si aprì in un ghigno privo di gioia. «Adesso piangi come una puttana?»

Bianca come il gelsominoWhere stories live. Discover now