O2

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Le sottili lancette del piccolo orologio, il quale stava attaccato alla parete neutra del muro, segnavano quasi le otto del mattino. Si muovevano, rumorosi, con un suono capace di entrare solo nelle orecchie di chi ansioso. Di chi, in procinto di dare un esame importante, respirava in affanno.
La poca luce filtrava, dispettosa, andando ad illuminare qualche parte della soffice coperta nella quale l'adolescente si era raggomitolato la notte. Era finito in un mondo illusorio, composto perennemente, di fantasie sue. Fantasie che avrebbe voluto fossero la realtà in cui viveva. E sembrava non volerne uscire.

Dunque, il mondo poteva tranquillamente cavarsela senza Lee, ma la McCoy, (la tremenda professoressa di matematica), non era in grado di farcela.
Come sarebbe sopravvissuta senza il suo studente preferito?

Preferito?

No, era semplicemente colui che preferiva interrogare ogni giorno della sua vita poiché sempre impreparato. Era quasi divertente. Al sorgere del sole si trovava sveglia, domandandosi: « Chissà se Lee si è deciso a studiare oggi. »
Lui non si impegnava, non studiava, non prestava attenzione in classe e non faceva nemmeno i compiti a casa.
Ahimè, neppure oggi che era il martedì.

D'improvviso, balzò in piedi, come se si fosse ricordato di qualcosa di importante. Appunto, la merda si stava ripetendo. « Cazzo! I compiti di matematica. » quasi urlò prendendosi tra le mani i capelli biondi.

Questo proprio non ci voleva, pensò turbato. Desiderava prendersi a pugni per essere perennemente così pigro. Finiva sempre col procrastinare ogni qualvolta si mettesse davanti a dei libri di scuola. Cinque minuti di pausa tramutavano in tre ore di pausa.
Ma ora, come avrebbe fatto a copiare? L'insegnante di matematica l'aveva alla prima ora e sicuramente quando lui sarebbe entrato in classe la donna (meglio, la vipera), starebbe ormai seduta alla sua ordinata cattedra di legno.
Era condannato, pensò, tirandosi un sonoro schiaffo.

Gettò gli occhi sull'ora sul display, e lì, capì se non si fosse alzato in un secondo, sarebbe arrivato persino in ritardo. Frettolosamente, s'infilò un paio di jeans larghi e una maglia nera. Preso il dentrifico e il suo spazzolino, si catapultò nell'ampio bagno dove si diede una veloce lavata.

Sono un disastro, si disse guardando il proprio riflesso.

Solitamente, era puntuale come persona, ma avendo trascorso una notte insonne, non era riuscito a chiudere occhio e la cosa lo faceva arrabbiare perché dormire bene per lui era fondamentale. Lo riteneva il momento più rilassante di una giornata; il momento nel quale nessuno si aspetta qualcosa da te. Adesso, invece, gli mancava persino l'energia per affrontare la noiosissima vita di uno studente costantemente stressato e sì, incazzato.

Preso lo zaino da terra, se ne uscì di casa, chiudendo accuratamente la porta a chiave.

Corse come un pazzo.
Il fiato, infatti, gli si accorciò man mano. Passava, o meglio, correva furioso tra una miriade di persone, dando, per sbaglio, spallate a qualcuno. E disattento chiedeva scusa. Chi lo sapeva come ci sarebbe arrivato fino alla fine dell'anno scolastico e chi lo sapeva se sarebbe riuscito a prendere il diploma.

Era ormai un grosso punto interrogativo.

Una volta nell'ampio ingresso della scuola, notò, distrutto, l'orario. Erano le otto e undici. La campanella era già suonata. Come al solito c'era la coppietta di turno che scopava nei corridoi nemmeno fossero in un porno.
Erano semplicemente disgustosi e nessuno aveva intenzione di fissarli.

DISTANT STRANGERS, HYUNLIX Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora