Capitolo 1 -Prefazione-

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Quando ero piccolo, all'incirca nel 2006, io e i miei genitori trascorremmo un bel mese nella casa in montagna. Ero felice tra il verde di madre natura e spesso per questo mi trovavo in giardino ad osservarla.
I miei genitori mi ripetevano sempre che ero diverso ma non capivo in che modo. «Sam.» mi chiamò mia madre appoggiata allo stipide della porta d'ingresso «È pronto il pranzo, tesoro.» Dunque mi alzai dalla sedia poco lontana da casa ed entrai.
Passavo sempre poco tempo con i miei ma non per scelta. Mio padre lavorava nelle vicinanze della casa in città mentre mia madre, spesso e volentieri, desiderava fare lunghe passeggiate. Restai solo gran parte delle giornate, nonostante chiesi più volte di portarmi con loro.
Quel giorno mia madre era già uscita, dopo il pranzo, precisamente alle 15:00 ma sapevo che entro le 17:30 sarebbe tornata. La mamma stava sempre fuori un massimo di due ore, forse perché le 17:30 era anche l'orario in cui sarebbe potuto rientrare mio padre nel caso fosse uscito prima dal lavoro.
Il pomeriggio passò in fretta per me dato che quando mi ritrovavo solo mi sbizzarivo a smontare gli elettrodomestici e a rimontarli prima che potessero rientrare.
«Sam?» Sentii la voce di mamma entrare ma non risposi, tanto sapeva dove venirmi a cercare. Mi facevo trovare sempre seduto sul divano a gambe incrociate. «Divertito tesoro?» mi raggiunse e mi accarezzò i capelli. Scossi la testa per risponderle mentre lei sorrise «Tranquillo, da oggi avrai un rompicapo che ti terrà testa.» Mi diede un bacio sulla testa poi estrasse dalla sua borsa di tela una scatola incartata e me la passò. La guardai cercando di capire cosa fosse: la grandezza era quella del modellino di una casetta per uccellini da costruire ma il peso faceva credere qualcos'altro.
«Ah no, Sam. Aprilo e basta non analizzarlo.» rise e così feci quel che mi disse. Scoprii che era un puzzle.
Ne ero sorpreso, non ne avevo mai fatto uno e l'idea di poterlo iniziare subito mi allettò molto ma ormai era tardi, a breve avrei dovuto fare il bagno come ogni giorno alla stessa ora. «Puoi iniziarlo se vuoi.» La guardai qualche secondo non capendo tutta quella improvvisa imprecisione con gli orari. Era lei, infatti, che mi consigliava di fare le cose in determinate ore.
Sorrise «Allora? Che stai aspettando? Vai.» Presi la scatola e mi allontanai andando in camera mia.
Il tempo passava e arrivati all'ora di cena, ero già riuscito a fare tre quarti del puzzle. Guardai l'orologio e smisi di incastrare i pezzi tra loro per andare in cucina. Silenzioso vi entrai e pochi secondi dopo mia madre mi chiamò per farmi scendere ma la interruppi tirandole delicatamente la maglietta «Ah! Sei già qui.» Dopo aver affermato ciò si sentì la porta di casa aprirsi e chiudersi. «Sono tornato. Dov'è il mio campione?» uscii dalla cucina e quando vidi mio padre gli andai incontro per abbracciarlo.
Ero molto affezionato a mio padre, sapeva essere divertente nei momenti giusti e riusciva sempre a sorprendermi con qualcosa di nuovo.
Mi strofinò una mano sui capelli felice di rivedermi «Hey, ho saputo che la mamma ti ha tenuto impegnato con un puzzle. Scommetto che lo hai già finito.» Sorrise. «Quasi» ammisi, ma nonostante avesse sbagliato sembrava comunque molto contento.
«Sono molto fiero di te campione.» Mi abbracciò e io ricambiai contento di sentirglielo dire.
Era una famiglia come le altre: cene piene di chiacchiere, risate alle battute, alcune litigate... Una classica famiglia, tranne che per me. Avevo dato del filo da torcere ai miei genitori per crescermi, sicuramente per loro è stato molto complicato assistere un bambino freddo, con alcuni problemi di salute e completamente diverso dagli altri.
Anche se non me lo avevano mai fatto pesare, so che per loro è stato difficile.
Durante la cena i miei avevano fatto discorsi strani, come se cercassero di non farsi ascoltare da orecchie indiscrete. Feci finta di nulla ma in realtà ascoltai «La bilancia della giustizia sta finalmente pendendo dalla parte giusta.» Iniziò mio padre.
«E l'aquila?»
«Non c'è da preoccuparsi. Dopo un colpo, cadrà anche lei.» Era risoluto e speranzoso.
«Non mi sento tranquilla... Chi ci dice che qualcuno non faccia di tutto per evitare che questo colpo non vada a segno?»
«Abbiamo studiato ogni eventualità.»
«Se andasse a finire male?»
«In quel caso sappiamo cosa fare. Proteggeremo la nostra unica speranza.» Mio padre le prese le mani e lei annuì. «D'accordo.»
Dopo qualche minuto di silenzio ripresero a parlare normalmente.
«Allora, che disegno ti sta venendo fuori col puzzle?» Papà sembra davvero interessato quindi posai la forchetta nel piatto ed, infine, lo guardai «Non lo so.» Era sorpreso e il suo sguardo non tradiva la sua emozione «Che vuol dire?» Chiese infine.
Alzai le spalle «Quello che ho detto...» Stranito si alzò e tese la mano verso di me, gliela presi e dedussi che voleva vedere con i suoi occhi, così lo portai in camera mia.
Anche se sapevo come si costruiva un puzzle, utilizzai i pezzi per qualcosa di più importante. Era da molto che ci lavoravo e con l'ultimo acquisto di mamma ero riuscito finalmente a ultimarlo, si trattava di un regalo che volevo fare a mio padre ma non volevo assolutamente darglielo incompleto. Del resto mi mancavano solo pochi dettagli ma con il cartone proprio non riuscivo a farli, ma grazie al puzzle potevo finalmente rendere fiero di me mio padre. Era un sogno che stava per diventare realtà e a pochi metri dalla porta della mia cameretta mi fermai e poco dopo lo fece anche mio padre guardandomi. «Tutto ok?»
Gli feci segno di aspettare lì ed entrai. Volevo che fosse una sorpresa ma se lo avessi lasciato entrare non lo sarebbe più stata, quindi mi sbrigai a prendere il mio piccolo capolavoro e, con attenzione, lo portai a mio padre.
Quando lo vide rimase senza parole, sembrava come se avesse visto la cosa più bella della sua vita. A papà piaceva da matti tutto quello che riguardava la NASA ma ogni giorno non faceva altro che parlare del Saturn V. Diceva sempre che era un razzo perfetto e che aveva un suo fascino. «L'eleganza di certo non gli manca» diceva sempre quando ne parlava. Dunque mi venne in mente di regalargliene uno, anche se di cartone.
Ci avevo speso tanto tempo ma per il risultato ne valeva la pena. Ero, infatti, riuscito a riprodurlo alla perfezione: dalla punta fino ai cinque motori alla sua fine.
«Wow...» Riuscì a dire solo quella parola e proprio allora glielo porsi «È per te, papà.» Anche se non mostravo alcuna emozione ero felice della sua reazione. Si inginocchiò e lo prese tra le mani osservandolo «È proprio come l'originale.» Osservò colpito «Sei proprio bravo in tutto quello che fai.» Sorrise guardandolo ancora un po' prima di spostare lo sguardo su di me. «Andiamo a mostrarlo alla mamma poi si va a letto, d'accordo?» Annuii.
Stando attento a non rovinare il Saturn V, mi prese in braccio e andammo in cucina. Lei lavava i piatti e aveva una posizione rigida così mi avvicinai all'orecchio di papà e gli sussurrai «La mamma non sta bene.» Mi guardò negli occhi e mi prese in disparte «Sicuro?» Annuii ancora.
«Da cosa lo capisci?»
Spostai lo sguardo qualche secondo sulla mamma poi tornai a guardare mio padre. «Spalle rigide, il piatto sembrerebbe pulito ma continua a lavarlo ed inoltre è silenziosa. La mamma canticchia quando lava i piatti.» Gli spiegai.
Mio padre come se non fosse nulla la raggiunse con me in braccio e con un sorriso. Sapevo che stava mascherando la sua preoccupazione ma non dissi nulla «Cena fantastica» disse posando il modellino sul bancone e avvolgendole un braccio attorno alla vita. Le baciò la guancia e in quel momento la mamma si risvegliò dai suoi pensieri. Accorgendosi del piatto pulito, lo posò e sorrise dandoci attenzioni «Cosa farei senza i miei uomini preferiti?» La mamma si sporse per ricambiare il bacio sulla guancia con uno sulle labbra. Non mi schifai ne dissi nulla, sapevo che quello era uno scambio di amore, una manifestazione di affetto per qualcuno con cui si condivide tutto.
E proprio in quel momento mi chiesi se in un futuro avrei avuto anche io una vita come le loro: amore, azione, felicità erano sempre all'ordine del giorno.
«Hai visto cosa, il nostro campione qui, è riuscito a fare?» Le indicò il razzo e mia madre si stupì «Sei un bambino molto creativo.» Mi sorrise e mi accarezzò la guancia «Sei il nostro genio di casa.» continuò. Restammo a chiacchierare del razzo, o forse sarebbe meglio dire che mio padre parlò delle origini e della struttura del Saturn V per poi spaziare sull'operazione Apollo 17 e tutte le successive.
Alle 21:30 ero solito dover andare a letto e, come un orologio svizzero, mia madre lo ricordò a mio padre che mi portò in camera. Mamma sapeva che preferivo papà nel rimboccarmi le coperte, ma non perché non le volessi bene, semplicemente perché papà mi intratteneva con storie sulla NASA molto interessanti.
Mio padre conosceva alla perfezione la parte ingegneristica e mi spiegava nei minimi dettagli ogni processo e ogni funzione di ogni razzo.
«Beh ora credo sia meglio dormire» Mi rimboccò le coperte poi mi diede un bacio sulla fronte «Altrimenti la mamma si arrabbierà con tutti e due.» Scherzò sorridendo. Si allontanò dirigendosi verso la porta e prima di spegnere la luce mi disse «Grazie Sam per lo splendido regalo.» spense la luce «Buona notte campione.» Finì chiudendo la porta.

Dormii tranquillo ma un brutto sogno mi svegliò nel cuore della notte. Restai sdraiato a letto guardando preoccupato il soffitto, il cervello lavorava velocemente, i pensieri mi scorrevano nella mente uno dopo l'altro, un picco di adrenalina mi travolse dopo quel sogno ma mantenni la calma. Ripetei a me stesso che era solo un sogno quindi mi concentrai sul respiro e nel giro di pochi secondi mi tranquillizzai.
Guardai l'orologio sul mio comodino, segnava le 02:00 di mattina.
La porta della mia cameretta si aprì facendo entrare una sagoma nera appena illuminata dalla lucina attaccata al muro, sapevo che era un mio genitore quindi rimasi con il sangue freddo.
«Sam, sei sveglio?» Domandò mio padre. «Si.» risposi dato che la stanza era buia ed allora sentii che si avvicinò e si sedette sul letto «Ricordi il gioco che facciamo spesso?» Mi chiese, notai della preoccupazione nella sua voce ma sapendo come era mio padre non dissi nulla «Il gioco dei favori?» Conoscevo già la risposta ma ugualmente volevo una conferma.
«Si, proprio quello.» Si sbrigò a dire. «Vorrei che tu facessi due cose per me.» Mi porse il modellino che avevo regalato a lui «Prendi questo.»
«Ma è per te...» dissi confuso del perché me lo stesse ridando.
«Figliolo, credimi, è stato il più bel regalo che abbia mai ricevuto, ma serve più a te che a me.» Sorrise «E l'ultimo favore: nasconditi fuori e aspetta che se ne vadano, poi fuggi.» Non capivo se avevo sentito male o se invece era quello che mi aveva chiesto davvero.
«Perché?»
«Sta tranquillo, Sam. Ti troverò, ma tu devi andare.» Non sembrava molto felice delle parole che stava pronunciando ma capii che le disse per una ragione. Mi fidavo di mio padre quindi lo ascoltai. «Ci rivedremo presto.» Mi salutò con un abbraccio che ricambiai subito, presi il razzo e a malincuore feci quello che mi chiese. Mi avvicinai alla finestra e l'aprii. La stanza era al piano terra quindi anche se fossi cascato non mi sarei ferito. «Ti voglio bene.» disse «Ti voglio bene papà.» ripetei prima di uscire.
Come da istruzioni di mio padre, mi nascosi in giardino a un centinaio di metri dalla casa, dietro dei cespugli. Avevo l'impulso di dover rientrare, portare con me papà e fuggire insieme alla mamma, ma poi ricordai quello che mi aveva chiesto: «Aspetta che se ne vadano e a quel punto fuggi.»
Chi dovevo aspettare? Non c'era nessuno nei paraggi, o almeno così sembrava. Un paio di minuti di pieno silenzio. Un silenzio che poteva essere considerato religioso in situazioni diverse, finché non venne interrotto da due spari.
Sussultai.
In quel momento più che mai sarei voluto rientrare ma il favore che dovevo a papà mi impediva di fare altrimenti. Il nostro "gioco dei favori" consisteva in piccole promesse che non potevano essere mai infrante e che dovevano sempre essere restituite con un numero equivalente.
Aspettai paziente un qualche segno di quelle persone, ed ecco che un motore si accese e in pochi secondi si allontanò.
Attesi pochi secondi per assicurarmi che se ne fossero andati, mi alzai e rimasi a guardare la casa in lontananza. Dovrei entrare. So di doverlo fare. Pensai. Mi rimbalzarono le parole di mio padre in testa che mi diceva che mi avrebbe cercato. Quindi confortato da questo pensiero mi alzai con in mano l'unica cosa che mi faceva sentire papà vicino.
E lentamente mi allontanai dalla casa camminando verso l'ignoto.

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