Capitolo 16.

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Finalmente, il grande giorno era arrivato. Tutto era pronto e dopo un mese di duro lavoro, il locale era perfetto.

Avrebbe aperto quella sera, ma durante il pomeriggio era passato a pulire, nonostante fosse già tutto limpido, perché aveva troppa ansia per rimanere con le mani in mano.

Minho era andata a dargli una mano, essendo stato promosso vice direttore.

"Sei pronto per questa sera?" Chiese l'amico, mentre sistemava in modo perfetto il bancone, che era la prima cosa che si vedeva, una volta entrati nel locale.

"Sono in ansia, ma in teoria dovrebbe venire parecchia gente" disse Newt, mentre controllava che dentro i frigoriferi in cucina ci fosse tutto il necessario per l'apertura.

"Andrà bene pive, è il tuo giorno oggi" gli disse, raggiungendolo in cucina.

"Già" rispose lui, con un sospiro, senza mai staccare lo sguardo dalla lista che stava depennando.

"Newt, non ci pensare" disse Minho, sistemando le pentole che gli sarebbero servite per quella sera.

"Come faccio a non pensarci Minho? È il giorno più importante della mia vita e lui non c'è e non mi risponde da stamattina. È così tanto preso dal suo lavoro da non avermi detto niente di oggi, nessuna parola riguardo all'apertura" disse Newt, sbattendo sul piano cottura la sua cartellina, stanco di sentirsi dire di non pensare a ciò che aveva fatto e che stava facendo Thomas.

"Hai ragione, perfettamente, ma goditi questa giornata proprio perché è la più importante. Non fartela rovinare" disse Minho, abbracciando l'amico.

"Sono fiero di te, questo posso dirtelo" disse, per poi dargli qualche pacca sulla spalla.

"Ora vado pive, Brenda ha un'ecografia e la accompagno. Saremo da te alle sette e quaranta, non pensare troppo e vai a casa a riposare" continuò Minho, prendendo lo zaino che aveva lasciato nei nuovi armadietti, per poi uscire dalla cucina e successivamente dal locale.

Newt seguì il consiglio dell'amico, e dopo aver messo un altro po' di ordine, appese il fiocco davanti la porta, per tagliarlo quella sera, e poi chiuse la saracinesca, pronto per andare a casa per prepararsi.

Più volte durante la giornata, pensava a quanto sarebbe stato necessario prendere la patente, dato che i mezzi ormai lo avevano stufato. Ma forse non lo avrebbe mai fatto.
Prese perciò la via più veloce verso casa, bisognoso di entrare in doccia, per sciogliere i nervi.

Continuava a pensare al menefreghismo di Thomas, per quell'evento così importante. Era stato davvero tanto idiota da dimenticarsene? O lo aveva fatto appositamente, perché iniziava a capire che non lo amava più? Si chiedeva se la lontananza gli avesse aperto gli occhi, facendogli capire che stare con lui era uno sbaglio.

Aveva mille paranoie, che solo Thomas avrebbe potuto cancellare, ma Thomas non era lì.

Arrivò a casa in poco tempo, andando ormai velocemente per le strade, conoscendole a memoria.

Quando si ritrovò davanti la porta, sullo zerbino notò un mazzo di fiori grandissimo, con un bigliettino all'interno.

Si chinò ad afferrare i fiori, e aprì il biglietto che recitava:

«Anche se non sono lì con te, sono orgoglioso di quello che hai fatto.
Congratulazioni amore mio.
Tuo, Thomas
P.S: le rose sono solo nove perché le aveva finite, spero vada bene lo stesso. Ti amo»

Avrebbe voluto prendere il mazzo di fiori e spaccarlo in mille pezzi, ma un minimo di felicità lo travolse, facendogli accennare un sorriso.

Girò la chiave nella porta, pronto a sentire sulla pelle quella sensazione brutta e fredda della casa che iniziava a odiare, ma con un odore di rose sotto il naso.

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