Capitolo 26: Il furto del porcellino d'india (parte uno)

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Passarono all'incirca una quindicina di minuti prima che Olga portasse del cibo al nostro tavolo. Io e Margaret passammo ogni singolo secondo d'attesa ad organizzarci per bene. Eravamo preparate, ma non potevamo assolutamente permetterci di abbassare la guardia. E penso che voi sappiate il motivo di ciò. Beh, non ve lo sto neanche a dire: sarebbe bastato un singolo errore per mandare a quel paese l'intero salvataggio di quel povero animaletto.
Appena avvertimmo l'avvicinamento della cuoca, cambiammo velocemente discorso, onde evitare qualunque tipologia di sospetto. Quest'ultima posò davanti a noi due vassoi e, prima di dileguarsi, ci augurò un buon appetito.
Entrambi i sudetti contenevano un singolo piatto e i suddetti piatti erano colmi a loro volta di purea di patate e di una tipologia di carne dalla provenienza a me all'epoca sconosciuta. Ora che possiedo una mentalità più matura posso dirvi con certezza che ciò che io e la mia amica avevamo nei nostri rispettivi piatti erano delle semplici fettine di arrosto di vitello. Per la precisione ne avevamo due a testa.
Cominciammo a mangiare con voracità per via dell'immenso appetito che attanagliava entrambi i nostri stomaci, ma specialmente per via della fretta che entrambe avevamo di liberare la piccola Daisy.
Mentre mangiai ammisi a me stessa che Olga era una cuoca davvero eccezionale:
la carne era tenera e succosa al punto giusto, mentre il purè aveva una cremosità tale da renderlo perfetto.
Finimmo di mangiare in neanche cinque minuti e, subito dopo esserci dissetate, ci alzammo dal tavolo e ci avviammo verso l'ufficio del guardiano, pronte per attuare il nostro salvataggio.
Credemmo però di aver già fallito in partenza: di fatto Olga richiamò la nostra attenzione e ci invitò a risederci al nostro tavolo.
"Bambine, dove state andando?" ci domandò infatti lei.
Con addosso il timore di essere state ascoltate, cercammo di trovare ogni singolo appiglio a cui aggrapparci per evitare di essere scoperte.
La cuoca però ci interruppe subito senza darci neanche il tempo di tirare fuori una scusa plausibile.
"Ma di cosa state parlando? Credo proprio di essermi spiegata male. Volevo dire: dove pensate di andare senza aver prima assaggiato il mio budino al cioccolato? Se volete crescere e diventare due donne forti e sane, dovete mangiare, mettetevelo in testa!" disse infatti lei con tono deciso, sottolineando il concetto.
Non potete nemmeno immaginare l'enormità del sospiro di sollievo che tirammo io e Margaret. Prese ancora dallo spavento appena subito, accettammo più che volentieri l'offerta della cuoca. Anche perché dal modo in cui ce l'aveva proposto non avevamo molte scelte a riguardo.
Pochi minuti più tardi ci vennero posate davanti agli occhi due coppette stracolme di budino. Per farvela breve, quel dolce fu talmente buono che pure quest'ultime vennero spazzolate in pochi minuti e, dopo aver ringraziato di cuore la gentilissima Olga, ci dileguammo al di fuori della mensa.
In quel momento eravamo seriamente pronte e nulla al mondo avrebbe potuto fermarci.
Salimmo un piano di scale e arrivammo senza alcun intoppo davanti a quell'ufficio di nostro interesse, il quale era situato sulla sinistra di uno dei tanti corridoi che popolavano l'università (so che codesto termine potrebbe non essere adatto se si parla di corridoi, ma ahimè, non ho trovato alcun altro termine che potesse sostituirlo).
Come da piano feci segno a Margaret di nascondersi. Lei (per appunto) si dileguò correndo dalla parte opposta rispetto a quella che avrei poi dovuto percorrere in compagnia del guardiano.
Davanti a quella porta feci un respiro profondo e cercai di intristire il più possibile il mio sguardo. Non appena mi sentì pronta ad entrare in scena, con un costante batticuore al petto, bussai.
"Chi è?" mi domandò una voce rauca proveniente dall'altra parte della porta.
"Salve signore...Sono la figlia adottiva di Leonard Hofstadter...Questa è la prima volta che mi porta qui al lavoro e purtroppo mi sono persa... Potrebbe gentilmente riportarmi da lui, per favore?" risposi io cercando di essere il più convincente possibile. Appena sentì un rumore di passi che mano a mano si stavano avvicinando sempre di più verso la porta, fui invasa da un fastidioso senso d'agitazione. Il mio tono era stato convincente, ma se le mie espressioni facciali non lo fossero state? E se questo fantomatico guardiano fosse stata una di quelle persone in grado di sgamare i bugiardi in quattro e quattr'otto? Beh, anche se fosse stato così, di certo non potevo più tirarmi indietro.
La porta si aprì di colpo e colui che mi ritrovai davanti fu un uomo che ad occhio e croce parve aver già superato le sessantina da un bel pezzo. Questo lo potei notare per via dei suoi corti capelli grigi e del suo viso oramai coperto di rughe. Pure la sua vista sembrava pressoché scadente: portava un paio di occhiali rettangolari che coprivano i suoi piccoli occhietti di color azzurro chiaro, ma nonostante questo continuava a tenere il suo sguardo assottigliato mentre mi scrutava, come se stesse costantemente aguzzando la vista. Bene, pensai tra me e me. Perlomeno non avrei dovuto faticare per dare credibilità alle mie espressioni facciali.
Ad ogni modo, il guardiano continuò a scrutarmi per qualche attimo, per poi esclamare ad alta voce:
"Oh, ma che bella signorina che abbiamo qui! Scommetto che sei un'amichetta della piccola Margaret, vero?"
"Signore, la prego! Mi accompagni da Leonard, per piacere! Mi manca il mio papà!"
sbraitai io cercando di simulare un imminente pianto disperato. Sapevo che non avrebbe per nulla notato la mancata presenza di lacrime sul mio viso poiché avevo capito fin da subito che il fantomatico guardiano era un signore avente una vista equivalente a quella di una talpa. E quella certezza aveva portato a questa imminente domanda: ma come faceva ad avere ancora quel lavoro sulle spalle se la vista gli mancava quasi completamente?
Tralasciando domande che purtroppo non avranno mai risposta, il guardiano sospirò leggermente, per poi dirmi:
"Beh ciccina, io adesso ho molto da fare. E poi, anche il dottor Hofstadter al momento è parecchio impegnato. Se proprio vuoi sapere dove si trova posso dirti che al momento è rintanato nel suo ufficio a lavorare. Vedi, per raggiungerlo, devi recarti alla facoltà di fisica e..."
Non gli diedi il tempo di finire la frase. Volevo concludere il discorso in fretta e per farlo, fui costretta ad attuare l'atto tenero per eccellenza: lo abbracciai, mi avvinghiai a lui e continuando a simulare il pianto di cui vi ho parlato qui sopra gli dissi:
"La prego!!! Io non so dove sia il suo ufficio! Ho provato a chiedere in giro, ma qui nessuno mi ascolta! Per piacere! Voglio rivedere il mio papà!"
Conclusi il discorso simulando qualche forte singhiozzo. La mia performance parve funzionare, in quanto il guardiano mi diede delle leggere pacche sulla schiena per poi dirmi:
"Su, non fare così. Sai che ti dico: mi hai convinto. Ti porterò dal dottor Hofstadter. Infondo, come si fa a dir di no ad una bella bambina come te?"
Il mio cuore esplose letteralmente dalla felicità. Ero riuscita a portare a termine la prima fase del piano. E senza faticare, oltretutto.
Le mie fatiche parvero però vanificate non appena il guardiano si ricordò tra se di chiudere a chiave l'ufficio. Fu però un ostacolo semplice da superare in quanto mi bastò tirarlo per la manica della divisa e "piangere" più copiosamente per convincerlo a muoversi senza fargli compiere tale intento. Il mio compito successivo sarebbe stato quello di tenerlo il più distratto possibile, ma in quel momento il grosso del lavoro toccava a Margaret. E le augurai buona fortuna con l'ausilio del pensiero.
Nell'arco di pochissimi minuti mi ritrovai a camminare tra i vari reparti di fisica e, detto tra noi, ne rimasi stupita. Francamente non avevo idea che tale studio fosse composto da molte più materie in contemporanea. Notai il reparto di fisica atomica, susseguitasi da quello di fisica cibernetica, poi da quello di fisica medica e così via dicendo. Mentre camminai mi resi conto che in fin dei conti Leonard e Sheldon avevano ragione: la fisica era forse una materia troppo complicata per una bambina di sei anni, ovvero per l'infante che ero all'epoca.
Mentre ragionai su questi pensieri non mi resi nemmeno conto che eravamo arrivati davanti all'ufficio di Leonard. Mi riportarono alla realtà il bussare del guardiano e un successivo "avanti" pronunciato da Leonard stesso. Non appena la porta venne aperta, corsi subito incontro a quest'ultimo e lo abbracciai, urlando letteralmente dalla gioia.
"Ehi piccolina! Che bella sorpresa, ma cosa ci fai qui?" esclamò lui con tono sorpreso. Rimasi abbracciata a Leonard senza dare un'effettiva risposta. In realtà cari lettori, non ne ebbi neanche il tempo in quanto Leonard notò il guardiano e subito dopo aver espresso la sua esclamazione rivolta verso di me, si rivolse a quest'ultimo e gli chiese:
"È un onore vederla signor Morris, ma c'è un motivo valido dietro a questa inaspettata visita? La bambina le ha per caso arrecato disturbo? In tal caso, perdonami davvero, non succederà più..."
"Dottor Hofstadter, si rilassi, la prego" lo interruppe il guardiano, per poi continuare il suo discorso:
"Non dia alla bambina colpe che non ha mai avuto. Era semplicemente disperata poiché si era persa e le mancava il suo papà. Parole sue, non mie, gliel'assicuro!" concluse infine senza fare troppi giri di parole.
Percepì subito dopo una delicata carezza datami sulla testa, un risolino emesso da parte di Leonard e, successivamente, sentì quest'ultimo dire a fatica:
"I..io non s...so veramente c..cosa dire... Davvero, s...sono senza p...parole..."
Mi staccai dall'abbraccio e notai il viso di Leonard oramai rosso come un pomodoro. Constatai che forse era troppo emozionato per potersi esprimere apertamente.
Mentre Leonard cercò di trovare delle parole adatte per poter esprimere la sua contentezza, il signor Morris chiese:
"Vedo che la signorina ha fatto centro nel suo cuore, Dottor Hofstadter. Ma mi dica un pò: da quando sei diventato padre?"
Con questa domanda, Leonard cadde letteralmente dal pero e da questo momento in poi partì un discorso con argomento riguardante la mia presunta adozione.
"Ehm, da giovedì. Ma non l'ho voluto propriamente io. A dirle la verità, è stato un incontro puramente casuale. L'ho trovata giovedì sera abbandonata sul lato del marciapiede in condizioni pessime. Non potevo certo fare finta di nulla e così mi sono sentito in obbligo di prenderla sotto la mia custodia."
"Oddio... Uhm, immagino che certi eventi non capitino di certo tutti i giorni... Sa da dove potrebbe venire?" chiese il guardiano assai sconvolto dalla notizia.
"Non ancora. La bambina non vuole affatto toccare l'argomento e per di più la polizia non mi ha ancora detto nulla riguardo alla denuncia che ho fatto ieri mattina. L'unica certezza che ho è che fino a quando non le avrò trovato una sistemazione valida ed idonea, sarà una mia responsabilità badare alla sua crescita e alla sua educazione."
Ci fu poi qualche attimo di silenzio. Successivamente, il signor Morris riprese il discorso:
"Beh, lei ha trovato una bella gatta da pelare. L'unica cosa che posso fare è augurarle buona fortuna, Dottor Hofstadter. Ma, mi faccia sapere questa curiosità: se non erro, lei abita in compagnia del Dottor Cooper. L'ha presa bene suddetta novità?"
"Sta parlando di Sheldon, giusto? Per lui non è stato molto facile. Come ben sa, è una persona che odia affrontare anche i più piccoli cambiamenti e l'improvviso arrivo di un infante nelle nostre vite è stato un avvenimento non proprio facile da digerire. Ma nonostante ciò, noto con piacere che mano a mano si sta abituando pure lui alla piccola. E scommetto che un minimo si sia già affezionato a lei, anche se non lo vuole ammettere a parole. Anche perché" prima di continuare a parlare rivolse lo sguardo verso di me, facendo pure una piccola pausa.
"Come si fa a non volerle bene."
Finita quella conversazione, Leonard non fu l'unico ad esserne uscito emozionato. Mi sentì avvampare le guance e non potei fare a meno di abbracciarlo di nuovo, abbraccio che fu ovviamente ricambiato. Rimasi per diversi attimi tra le sue braccia e fui talmente rilassata da dimenticarmi totalmente del luogo in cui mi trovavo, della presenza del signor Morris e del piano che stavo attuando con la mia amica Margaret.
Ma questa è una questione che riprenderò in un futuro capitolo.

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