Capitolo 27: Il furto del porcellino d'india (parte due)

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Ed eccomi qui a raccontarvi il resto di questa vicenda. Come vi dissi nel capitolo precedente, rimasi bloccata tra le braccia di Leonard, estraniandomi dal mondo esterno.
Fu tutto bellissimo, fino a quando il Signor Morris non parlò, scaraventandomi brutalmente nel mondo reale:
"Vedo che entrambi siete molto impegnati. Dato che la questione sembra pressoché risolta è meglio se torno subito al lavoro. Ma prima di ciò, posso porle una domanda dottor Hofstadter?"
Sentite quelle parole mi staccai subito dall'abbraccio di Leonard e il mio cuore cominciò a battere all'impazzata. Per un attimo mi ero dimenticata di Margaret, di Daisy e del piano che avevamo programmato per salvare quest'ultima. Non avevo un minuto da perdere; dovevo correre verso l'ufficio del guardiano e avvisare Margaret dell'imminente ritorno del suddetto.
Ma prima dovevo capire quanto sarebbe durata la conversazione tra lui e Leonard e, nel caso, intervenire per allungarla ulteriormente.
"Mi dica, signor Morris" rispose Leonard con tranquillità.
"A cosa starebbe lavorando in questo periodo? Mi faccia sapere che sono proprio curioso."
Non appena il guardiano finì di porre la sua domanda, Leonard lo guidò verso un congegno di cui tutt'ora fatico a comprenderne la funzione. Ah, in mezzo a tutta questa narrazione mi sono dimenticata di esporvi delle nozioni assai fondamentali per stimolare la vostra immaginazione: il laboratorio di Leonard era pieno di questi strani marchingegni. E non ve lo nego, era molto più bello rispetto all'ufficio di Sheldon, il quale era munito semplicemente di una scrivania, una sedia per sedersi davanti alla suddetta scrivania, una lavagna magnetica bianca e un piccolo cestino usato per buttare l'immondizia. In confronto l'ufficio di Leonard pareva mille volte più professionale.
Ad ogni modo, seguì i due verso quello strano macchinario e non appena ci fummo fermati, Leonard iniziò ad esporre le sue ricerche del momento:
"In questo periodo sto lavorando su una frazione dello studio riguardante la materia condensata, ergo cerco di rivelare la struttura di sistemi a bassa dimensionalità tramite questo bellissimo laser ad elettroni. Vuole dare un'occhiata più approfondita signor Morris?"
"No grazie dottor Hofstadter. La ringrazio per la proposta, ma devo tornare subito in ufficio. Però la prossima volta accetto più che volentieri l'invito poiché la sua si prospetta come una ricerca molto interessante" gli rispose il guardiano accennandogli un sorriso.
Purtroppo era successo quel che temevo. In un certo senso immaginavo che la conversazione sarebbe arrivata ad un punto morto, senza che io avessi avuto la possibilità di portarla avanti. Potevo provare a fare qualche domanda riguardo a quella ricerca sulla materia condensata, ma sarebbe stata una conversazione che il signor Morris non avrebbe ascoltato, in quanto era evidente la sua voglia di ritornare al lavoro.
Così decisi semplicemente di dileguarmi per andare ad avvisare Margaret.
Ma prima dovevo comunque cercare di tirare fuori una scusa plausibile, per evitare di destare dei sospetti tra le persone adulte:
"Ehm, a pensarci bene, anche io adesso dovrei andare..."
Entrambi gli adulti mi guardarono con un'aria stranita. Specialmente il guardiano, il quale mi chiese subito dopo:
"Ma come ciccina? Non eri disperata per via della mancanza di Leonard? Pensavo che ti avrebbe fatto piacere passare un pò di tempo con lui."
Mentre mi avvicinai sempre di più verso la porta d'uscita, tirai fuori la prima scusa che mi venne in mente.
"Ehm, è vero, però avevo promesso a Margaret che avrei poi giocato con lei e.."
Per rendere la situazione ancor più credibile tesi l'orecchio e dissi ai due:
"Avete sentito? Mi sa che mi sta chiamando, quindi devo per forza andare. La ringrazio di tutto signor Morris e ci rivediamo stasera zio Leonard!"
Detto ciò, iniziai a correre all'impazzata verso l'ufficio del guardiano e sperai con tutto il cuore di ritrovare la mia amica con già le chiavi in suo possesso. Se così non fosse stato, non avevo altro modo per distrarre il signor Morris ed entrambe saremmo finite in grossi guai.
Mi ritrovai in quattro e quattr'otto davanti a quel stramaledetto ufficio. Fortunatamente la porta era ancora aperta ed è proprio grazie a questo particolare che riuscì a scrutare l'interno della stanza per controllare se ci fosse Margaret, ma purtroppo quest'ultima non la vidi. Presa da una repentina preoccupazione iniziai ad urlare il suo nome e dopo ben tre richiami che non furono ricambiati iniziai a percepire un bruttissimo presentimento. E se fosse stata beccata con le mani nel sacco? E se fosse stata presa in custodia da una persona adulta? O peggio: e se suddetta persona adulta l'avesse poi portata da sua madre? In tal caso la povera Margaret sarebbe sicuramente finita in punizione per un lasso di tempo indeterminato e ciò non potevo affatto accettarlo.
Contemporaneamente a questi pensieri iniziarono a tormentarmi dei dolorosi sensi di colpa. Nel caso in cui Margaret fosse stata effettivamente messa in castigo la colpa poteva essere solo mia. Iniziai a dirmi a me stessa che non avrei mai dovuto lasciarla da sola. Anzi, mi correggo: che non avrei mai dovuto convincerla a partecipare al salvataggio della piccola Daisy. Ripensandoci bene era stupido pensare che un piano del genere avrebbe potuto avere anche solo una piccola probabilità di successo.
Con le lacrime agli occhi e con i sensi di colpa che mi stavano attanagliando la mente, urlai un altro paio di volte il nome della mia amica, con la certezza che nessuno mi avrebbe risposto. O almeno così pensavo.
Adesso vi spiego lettori cari: improvvisamente, sentì qualcuno che mi richiamò a bassa voce dalla parte destra del corridoio. Nonostante quella voce l'avessi sentita pochissime volte in vita mia riuscì comunque a riconoscerla: era Margaret, la quale si era nascosta dietro ad un angolo pur di non farsi vedere.
Presa da una contentezza infinita seguì il suono di quella voce e non appena mi ritrovai davanti la mia migliore amica l'abbracciai con foga, rassicurata dalla falsità dei miei stessi pensieri.
Lei ricambiò il mio gesto d'affetto e dopo qualche secondo si staccò dalle mie braccia.
"Ma ti sei ammattita per caso? Hai rischiato di farmi saltare la copertura!" mi disse successivamente lei con un velo di rimprovero nella voce.
Sentendomi dispiaciuta l'abbracciai di nuovo, non sapendo come agire. Non appena le sue braccia cominciarono a stringermi iniziai ad esporre tutte le mie preoccupazioni:
"Scusami, ma per un attimo ho pensato che ti avessero beccata e che fossi stata messa in punizione... Perdonami, davvero..."
Mentre parlai ulteriori lacrime iniziarono ad inondarmi le guance. Il solo pensiero di essere la causa di un problema in cui viene coinvolta la mia migliore amica mi faceva e mi fa stare tutt'ora malissimo.
Margaret, la quale è sempre stata una persona molto comprensiva, continuò a stringermi a lei e, mentre mi carezzò la schiena con la sua mano destra, mi disse con voce ovattata:
"Stai tranquilla Vale. Non è successo niente. E poi..."
Prima di continuare a parlare si staccò dall'abbraccio, portò la mano sinistra nella tasca destra dei pantaloni e in contemporanea disse:
"Se mi avessero seriamente beccata, come farei ad avere queste?"
Nell'esatto momento in cui finì di porre questa sua domanda retorica, tirò fuori da quella stessa tasca un piccolo portachiavi. Attaccato ad esso, vi era una singola chiave argentata e una targa plastificata bianca con su scritto a caratteri cubitali neri
"REPARTO DI NEUROBIOLOGIA. GABBIA CAVIE."
La sola vista di quel piccolo oggetto mi fece letteralmente esplodere dalla gioia e con ancora gli occhi velati dalle lacrime, presi tra le mani la piccola chiave.
Con il braccio destro mi asciugai gli occhi e successivamente chiesi:
"È stato complicato trovarla?"
Margaret a detta sua fece spallucce, per poi dirmi con assoluta tranquillità:
"Per niente. Il guardiano ha etichettato ogni singola chiave di ogni singola aula, gabbia o di qualunque altra cosa presente in questa università. È stato un gioco da ragazzi. Tra l'altro, è stato un lavoro talmente veloce che stavo quasi iniziando ad annoiarmi nel stare nascosta qui dietro."
Quando Margaret finì di parlare rimasi letteralmente interdetta dalle sue stesse parole; non solo la seconda parte del piano si era conclusa con grande successo, ma non avevamo destato alcun sospetto in nessun adulto. Sapevo che però sarebbe arrivata di lì a breve la parte più complicata dell'intero salvataggio, ovvero liberare la piccola Daisy e cercare di nasconderla nei giorni a venire.
Mentre fui immersa in questo vortice di pensieri, Margaret mi tirò un pugnetto affettuoso sulla spalla per attirare la mia attenzione. Non appena la guardai, esclamò:
"Sei forte come attrice, lo ammetto. Hai fregato il signor Morris con assoluta facilità e francamente, se fossi stata al tuo posto, non so se ce l'avrei fatta. Davvero, ti faccio i miei più sentiti complimenti."
Quelle parole mi fecero sorridere e allo stesso tempo mi sentì avvampare le guance.
Mi faceva e mi fa tutt'oggi piacere essere apprezzata dopo aver svolto un ottimo lavoro. E a chi non piace, dopo tutto? Penso che tutti amino essere complimentati per via di un talento personale o per via di una mansione svolta alla perfezione (specialmente voi, ammettetelo 😜).
Scherzi a parte, mi rivolsi poi alla mia amica ringraziandola per i complimenti e dicendole che in realtà non era stato assolutamente complicato convincere il guardiano a farmi seguire, in quanto la sua cecità gli aveva effettivamente impedito di vedere che stavo recitando.
Finito quel discorso, però, fui assalita da un immenso stato di preoccupazione: ero tornata verso l'ufficio del signor Morris poiché dovevo avvisare Margaret dell'imminente ritorno di quest'ultimo e di ciò me ne ero totalmente scordata!
Essendomi ricordata questo piccolo particolare feci notare alla mia amica l'intera situazione, mentre fui ovviamente presa da uno dei miei soliti attacchi di panico.
Nonostante la mia paura Margaret parve molto tranquilla, come se avesse avuto la situazione sotto controllo. E in effetti fu proprio così: con fermezza afferrò entrambe le mie spalle con le sue mani e dopo avermi scrollata per cercare di farmi tornare in me, mi disse con voce decisa:
"Ti vuoi dare una calmata, per piacere? Stai tranquilla, so cosa fare. Tu non devi fare altro che seguirmi."
Detto ciò, mi afferrò la mano destra e iniziò a trascinarmi di nuovo, senza darmi il tempo di chiedere spiegazioni.
In fondo a quel corridoio, vi era un enorme portone rosso e sopra ad esso, vi era attaccato un cartello (anch'esso rosso), con scritto sopra a caratteri cubitali bianchi
"SCALE DI EMERGENZA."
Non feci domande sul perchè Margaret mi volesse portare proprio lì; in primis perché comunque il cartello l'avevo letto (a fatica, lo ammetto. Vi avevo già precisato nei capitoli precedenti che all'epoca non ero molto brava a leggere, no?) e in secundis poiché fu la stessa Margaret a spiegarmi il perché di quella mossa non appena fummo entrate:
"Queste sono le scale di emergenza. Non ho mai visto nessuno entrare qui e usufruirne. Di conseguenza possiamo muoverci per tutto l'edificio senza dare nell'occhio."
Dopo aver sceso chissà quanti scalini, ci ritrovammo nuovamente nel reparto di biologia. Aprimmo lentamente un portone uguale a quello che avevamo utilizzato per entrare in quel labirinto di scale e non appena ci rendemmo conto che la via era totalmente libera, uscimmo allo scoperto.
Il laboratorio di neurobiologia si trovava ad un massimo di dieci metri da dove eravamo posizionate noi. Il piano era semplice: prendere il porcellino d'india e rifugiarci nelle scale di emergenza senza essere scoperte.
E nonostante non ci fosse nessuno durante quel pomeriggio, la tensione e l'ansia erano comunque molto elevate.
Il mio compito era quello di fare da palo e, nel caso fosse stato necessario, quello di distrarre e allontanare ogni singola persona che volesse entrare in quel laboratorio.
Mentre fui lì fuori ad aspettare Margaret, i miei cinque sensi parvero più sviluppati rispetto al normale. Percepì ogni singolo suono emesso da ciò che successe: l'apertura della gabbia, l'acuto squittire di quegli strani roditori, il raspare delle loro zampette e il respiro affannoso della mia amica, evidentemente spaventata quanto me. E senza neanche accorgermene, mi ritrovai a correre: non appena sentì la corsa sfrenata di Margaret, mi venne istintivo correre verso quel portone rosso. Lo aprì, feci entrare la mia amica e lo chiusi definitivamente. Successe tutto in maniera così rapida e repentina che non me ne accorsi nemmeno. Non sapevo in realtà cosa fosse successo, ma l'importante era che ce l'avevamo finalmente fatta.
Vidi la mia migliore amica piegata in due dall'affanno, mentre teneva tra le mani un piccolo scricciolo peloso bianco e nero.
E mentre lei prese fiato, io mi sedetti sul primo scalino che mi capitò sotto tiro e appoggiai la testa sulla ringhiera, cercando di smaltire tutta quell'adrenalina che stava circolando nel mio corpo.

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