26.

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Future's Drop.

Era inciampata più volte in cianfrusaglie di poco conto, come fermacarte pacchiani, o piccole statuette ritraenti divinità pagane. Clary, vedendole, le aveva associate a Magnus. Aveva pensato che tutte quelle stupidaggini sparse ed in disordine non sarebbero potute appartenere a nessun altro; lo stregone infondo era sempre stato un edonista, amante delle cose belle da vedere, e dei vizi splendidi da vivere. Quindi tutti quegli oggetti pacchiani e di scarso utilizzo a chi altro sarebbero potuti appartenere? La rossa aveva camminato per la stanza a lungo (forse per intere ore) e, insieme al fatto che non aveva ancora visto nessuna parete delimitare quello spazio, aveva notato la ricchezza di ogni singolo manufatto. Non che fosse in grado di valutarli economicamente, ma buona parte degli arazzi, dipinti, cornici e persino degli immobili impolverati, le sembravano risplendere d'oro. Si era domandata se fosse possibile cucire con fili d'oro -come diceva una vecchia fiaba mondana-, od estrarre un pigmento dall'oro. Ma poi si era resa conto di essersi distratta, che doveva concentrarsi, ed aveva ripreso il cammino. Le pareti, però, che sarebbero potute essere il suo punto di riferimento per trovare una via d'uscita, risultavano introvabili. La stanza era apparentemente infinita. E, ovviamente, come se tutto quello non fosse stato abbastanza, Clarissa non aveva neppure il proprio stilo. Eppure, si disse frustrata, ricordava Jace porgerglielo. Ma, esattamente, quando glielo aveva porto? Nel viaggio per andare all'appartamento di Magnus, od in quello diretto in campagna? Per qualche ragione, era certa che la risposta avrebbe avuto un'importanza disarmante.
Grugnì rabbiosa. Indosso continuava ad avere un abito che le rallentava  terribilmente i movimenti, e che la faceva sentire terribilmente vulnerabile; conciata in quel modo non sarebbe neppure riuscita a fare una capriola, non sarebbe stata capace nemmeno di tirare un calcio ben assestato, alto e letale. Per non parlare dei tacchi... Quelli rischiavano di ucciderla per il dolore. E, nel frattempo, nell'aria aveva preso ad aleggiare uno sgradevole odore di lacca e colonia scadente. La giovane si portò una mano di fronte la bocca ed il naso, infastidita. Dove diavolo era? Alla mente non le sorgeva neppure un'ipotesi. Non si era mai trovata in un luogo del genere, un luogo che sarebbe riuscita a definire solo con il termine... Smarrito. Una stanza smarrita. Sì, perché non era lei ad essersi persa, quanto quella stessa camera, troppo ampia e troppo maledettamente disordinata, senza apparente via d'uscita o tempo che trascorresse. Dio, quasi gridò la rossa, non vi era neppure una finestra. La luce che la circondava era fioca, ed a stento riusciva a vedere il pavimento sotto i propri piedi. Però sapeva che era in legno, e che scricchiolava, ostentando un macabro canto, ad ogni passo. Le sembrava strano; non era parquet, ma neppure un altro genere di pavimentazione che potesse riconoscere. Sospirò forte e, presa da una folle ansia, arrestò il passo. L'odore fastidioso e pesante era svanito; l'unico lato positivo della situazione. Sollevò la mano destra sino al seno, contro il cuore pulsante, e chiuse gli occhi. I battiti erano più veloci del solito, ma forse era normale. Infondo, per quanto cercasse di controllarsi, era terrorizzata. Dentro, oltre la pelle e l'espressione pacata, vi era una tempesta di inquietudine. Circondata dal silenzio, i pensieri non facevano che peggiorare la sua situazione; le rimbombavano nella testa come grida. Poi un suono. Uno scricchiolio.

Clarissa sollevò le palpebre. Ciò che aveva appena udito era il medesimo rumore che producevano i propri piedi contro il pavimento legnoso e (forse) cedevole. Possibile, si domandò speranzosa, che qualcun altro, oltre lei, fosse imprigionato in quel bizzarro luogo? In quella sorta di universo parallelo strapieno di pacchianerie degne di Bane? In risposta, udì  nuovamente lo scricchiolio. Le parve una melodia paradisiaca, invece che un fastidioso gracchiare di cornacchia. Capì che proveniva dalla sua destra, e si voltò verso quella direzione. Intanto pregava; pregava l'Angelo che lei stessa aveva visto,  Raziel, di donarle un miracolo. Anche se, più che un miracolo, sperava di non dovere incontrare un nemico. Le sarebbe andato bene persino Cyril, si disse ad un certo punto, in attesa di vedere spuntare qualcuno oltre un'apparentemente infinita montagna di quotidiani.
Anche la rossa conservava quotidiani (li sistemava sotto i fogli sottili quando dipingeva, così da non macchiare il tavolo), ma non era mai arrivata ad un numero del genere. La cosa, finalmente, la fece sorridere. Fu come se un peso le fosse evaporato di dosso; sentì parte dell'ansia scemare, ed attese con intrepida impazienza l'arrivo di quel qualcuno che, a giudicare dall'intensità degli scricchiolii, era sempre più vicino.

Future's Drop. -Goccia di futuro-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora