27.

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Future's Drop.


-Facciamo mente locale.- disse in un sospiro spossato Clarissa, portandosi le mani alle tempie, decisa a riflettere. Era ancora di fronte a Jace, ma l'atmosfera romantica si era spezzata qualche minuto prima, tra un bacio ed un silenzio prolungato. Entrambi sapevano di essere in un luogo misterioso, senza apparente via di fuga, ed erano anche a conoscenza del fatto che scappare era qualcosa che non poteva più essere rimandato. Infondo non avevano la più vaga idea di dove fossero, erano disarmati e, se fossero giunti nemici, non sarebbero stati in grado di difendersi pienamente. Forse avrebbero potuto sfruttare la loro agilità di cacciatori -per quanto gli abiti pesanti ostacolassero lei-, così come parte degli oggetti sparsi attorno a loro, ma non sarebbero riusciti a preparare una difesa inespugnabile. Sarebbero riusciti a non farsi subito sconfiggere, questo sì, ma presto la stanchezza avrebbe avuto la meglio. Ne erano matematicamente certi. Da che avevano aperto gli occhi, né Clary, né Jace si erano ancora ripresi. Si sentivano vagamente spossati e confusi, come sotto gli effetti di un'eventuale droga. Un non ben definito qualcuno doveva averli presi, confusi e rinchiusi. Ma perché? Dove diavolo era finita la loro carrozza, e perché non erano nel bosco? Trovarsi in quel posto, così spaventoso ed infinito, era forse molto peggio che essere precipitati in un burrone a bordo di un vecchio mezzo ottocentesco. Il mistero che si celava in quella  stanza, in quegli oggetti abbandonati, nell'odore di aria stantia, li intimoriva.
Jace annuì, guardando dall'alto della propria statura la ragazza, le mani alle tempie ed il respiro evidentemente agitato; il biondo poteva vedere il seno alzarlesi ed abbassarlesi in fretta. Per non parlare poi dei sospiri rumorosi e incespicanti. Decise che doveva aiutarla,  e riflettè; ricordava di avere chiuso gli occhi prima dello schianto quando, ancora sopra l'abitacolo in legno laccato e scivoloso -al profumo di viole e lucido oleoso-, aveva sentito la profonda certezza di morire attraversarlo. Spinto da un istinto recondito, aveva abbassato le palpebre, per poi strigerle forte. Il tutto mentre il cuore gli pompava il sangue nelle vene ad una velocità inumana. Ricordava di avere smesso di respirare, come nella vana speranza che questo avrebbe potuto fermare il tempo, così da permettergli di salvare Clary. Clary, e solo Clary. Aveva pensato di essere pazzo, perché non si poteva davvero avere così poco riguardo della propria esistenza e, al medesimo istante,  così tanto per quella di un'altra persona, ma aveva deciso che non gli importava.
Però il tempo non si era fermato e, mentre la polvere che le ruote ampie levavano attorno al mezzo gli giungeva alle narici, Jace aveva capito che la carrozza non si sarebbe fermata solo perché aveva deciso di smettere di respirare o chiudere gli occhi. Aveva pensato che, forse, non sarebbero morti, ma che non era scontata neppure la possibilità di sopravvivere. Ma, nel mentre, non aveva rivisto la propria vita. Non gli erano passati di fronte all'occhio della mente flashback patetici o stucchevoli come aveva visto accadere ai protagonisti di svariati film, anzi. Aveva avvertito il proprio cervello rallentare, e con lui i pensieri. Lentamente -o almeno così a lui era parso- tutto si era fermato, poi più nulla.  Quando i suoi occhi dorati si erano riaperti, Jace si era velocemente reso conto che attorno a lui non vi era alcuna maceria di carrozza, né cadaveri o sangue. Niente più polvere ad infastidirgli le narici,  né tachicardia. Si era alzato, appesantito da una disarmante spossatezza, ed aveva preso a camminare. Così aveva incontrato Clary.

Vide la rossa sollevare lo sguardo frustrata, la fronte corrugata e le sopracciglia sollevate in un'espressione addolorata -Hai idea di come potremmo essere finiti qui?-
Jace non lo sapeva. Non aveva la più vaga idea di come potessero essere arrivati in quel luogo da brivido. Sapeva solo che dovevano andarsene e che, se erano entrati, doveva esistere anche un modo per uscire. Era come quando, da bambino, aveva incastrato la mano nel vasetto dove la altrettanto piccola Isabelle amava tenere le proprie caramelle. Ricordava di non essere riuscito a togliere la mano per i primi attimi di agitazione, di avere agitato le dita corte e fanciullesche certo che la sorella  sarebbe arrivata di lì a poco, scovandolo con le mani nel sacco. Poi però, ricordando le lezioni di un uomo biondo ed alto, che aveva finto di essere suo padre, aveva preso un profondo respiro e si era rilassato. Aveva accostato il pollice al palmo, ed aveva teso le dita mantenendole vicine. La mano, seppure con un po' di riserve iniziali, era poi sgusciata fuori dal vasetto.
In quel momento dovevano fare la stessa cosa; calmarsi e concentrarsi. Pensa a ciò che sai e ciò che non sai, poi agisci di conseguenza, si disse il biondo. Clary continuava a guardarlo. Era agitata, con le piccole mani strette in modo febbrile attorno alla gonna ampia e lucida.
-Non so, ma hai ragione. Dobbiamo fare mente locale, quindi...- Jace le prese una mano e si sedette a terra, accompagnando giù anche lei, con indomita dolcezza. Le sorrise -Quindi pensiamo.- Il ragazzo tracciò una linea immaginaria con la punta dell'indice destro -Eravamo in carrozza, e procedevamo in questa direzione.- ricordò, continuando a delineare uno schema invisibile -Deviavamo verso il bosco, e gli alberi erano davanti a noi. Pochi istanti prima dello scontro, ho chiuso gli occhi e...- -Anche io!- intervenne la riccia, tenendo lo sguardo verde brillante puntato contro il pavimento, dove il cacciatore continuava a creare inesistenti ghirigori. Jace la guardò.
-Sì, ho sentito questo istinto dirmi di chiudere gli occhi e l'ho fatto. Li ho riaperti ed ero qui. Eppure... Mi era sembrato di averli chiusi solo per mezzo secondo.- raccontò la ragazza. Solo guardando, capì che anche per lui era lo stesso. Che gli era capitata la stessa cosa. Non aggiunse nient'altro però.
-E, Clary, non eri mai stata in questo posto da quando sei arrivata in questa epoca?- le domandò perciò il giovane, mormorando appena, come timoroso che qualcuno li stesse udendo. La ragazza scosse la testa, facendo oscillare i capelli ampi e belli attorno alla testa.
-Però mi sembra un ripostiglio, o qualcosa del genere.- Clarissa si prese una pausa per controllare se avesse o meno acceso la curiosità in Jace. Vide la sua iride illuminarsi e si disse che, sì, forse ci era riuscita. Proseguì -Tutto ciò che è qui dentro potrebbe appartenere a Magnus. È solo un'ipotesi, ma forse...- -Probabilmente hai ragione.- la interruppe il giovane Herondale, carezzandosi un sopracciglio, assorto nei propri pensieri -È tutto così pacchiano e... beh, scintillante-
Finalmente, la rossa rise. Il disgusto che aveva letto nel viso di Jace aveva scatenato in lei una decisa ilarità. Gli sfiorò una guancia in un gesto estremamente intimo, poi sospirò. Si sentì sollevata, e per questo fu grata al ragazzo. Alla sua semplice presenza, ed al fatto che potesse farla ridere persino in quel momento.
-Uhm sì, è come un armadio.- e, dopo avere detto questo, Clarissa vide il viso del fidanzato alzarsi di scatto, come colpito. Non capì. Cercò di domandare spiegazioni, ma lui parlò ancor prima.
-Hai notato anche tu, Clary, il pavimento? Non ti sembra... Strano?-
Sì. Sì  che lo aveva notato. Scricchiolava ad ogni passo, come costituito solo che da un'asse in legno estremamente sottile. Eppure, cosa c'entrava?
Annuì.
-Forse hai ragione, Clary.- mormorò, ripetendo per l'ennesima volta il suo nome. Ma, diavolo, la amava. Lo avrebbe ripetuto all'infinito, e gli aveva appena fornito un indizio assolutamente geniale -Forse siamo davvero dentro l'armadio di Magnus Bane.-

Future's Drop. -Goccia di futuro-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora