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Per la prima volta in due giorni, il numero dei commensali corrispondevano ai posti apparecchiati per la cena. Stranamente, quella sera, Daniel ci aveva degnato della sua presenza. "Presenza" che poi, si limitava soltanto a ripulire il piatto che si trovava davanti, visto che ad ogni argomento o domanda riusciva a rispondere soltanto a monosillabi. Un momento prima di sedersi a tavola, mi aveva guardato per circa un secondo. Dubitavo che l'avesse fatto di proposito, ma appena i nostri sguardi si erano incrociati, io mi ero girato subito dall'altra parte. Non sapevo bene il perché, ma non riuscivo a tenere i miei occhi fissi sui suoi per più di un istante.

«Allora, Mattia, perché non ci racconti del tuo tour-de-force turistico di oggi?» Mi chiese Caren, curiosissima sul mio parere rispetto all'Inghilterra.

«È stato bellissimo! Ho...»

«E qui che cos'hai fatto? Giselle, del ghiaccio per favore!» Mi interruppe Robert indicando il mio polso, che senza accorgermene, era diventato decisamente più gonfio rispetto al pomeriggio. D'istinto mi girai verso Daniel, e lo sorpresi a guardarmi. Aveva l'aria sbigottita, come se non si fosse minimamente accorto di essere riuscito a farmi così tanto male. Notai la difficoltà manifestarsi attraverso i suoi occhi, e l'espressione del suo viso diventò improvvisamente più severa, come per prepararsi ad un nuovo scontro con il padre.

«Non è nulla. Sono soltanto caduto.» Risposi all'istante, e la tensione sul viso di Daniel sparì immediatamente, lasciando spazio allo stupore.

«Caduto? E come?» Infierì Giselle porgendomi del ghiaccio.

«Un turista, in bicicletta. Mi è praticamente venuto addosso.» Riuscii ad inventare tutto di sana pianta, che quasi mi stupii di essere stato proprio io l'artefice di quella bugia.

«Devi stare più attento!» Mi rimproverò dolcemente Caren. «Siamo i tuoi responsabili e per ogni cosa che ti succede siamo noi a risponderne. Se domani non sarà sgonfiato, ti porteremo da un medico.»

Daniel fu il primo a congedarsi non appena finimmo di mangiare il dolce. Subito dopo, Caren e Robert mi proposero la rivincita a Scarabeo, ma io, a causa di "occhiverdi", cercai una scusa qualunque e salii al piano di sopra, dietro di lui.

Non speravo di poter fare conversazione e nel profondo sapevo che non mi avrebbe rivolto una parola, ma la sensazione di trovarmi in quella stanza confinante alla sua, così vicina, mi faceva sentire in un modo che non riuscivo a spiegare nemmeno a me stesso.
Avevo anche smesso di odiarlo. Gliel'avevo letto negli occhi, quando Robert mi aveva chiesto del polso, che non aveva avuto alcuna intenzione di farmi del male.

Alle ventidue circa terminai la chiamata con i miei genitori. Raccontai loro la mia giornata omettendo soltanto piccoli particolari, come la "sfortunata" caduta e il polso indolenzito.
Fu dopo le ventitré che qualcuno bussò delicatamente alla mia porta.

«Sì!» Dissi a voce alta, immaginando già davanti a me il ciuffo danzante color nocciola di Daniel cadere proprio sopra i suoi occhi.
Ad aprire la porta però fu Giselle, che scusandosi per l'orario, si preoccupò di massaggiare il mio polso con una pomata. Quando poi andò via dalla stanza, sprofondai in un sorprendente senso di delusione.

Perché pensavo, o meglio speravo, che Daniel bussasse alla mia porta?

Spensi l'abat-jour sul comodino e affondai la testa sul cuscino, cercando di scacciare via quelle folli sensazioni che da tutto il pomeriggio non facevano altro che infastidirmi.

*

«Hey Mario, svegliati.»

Con la vista annebbiata guardai l'orologio che segnava le otto del mattino. Davanti a me, ai piedi del letto, trovai Daniel fisso a guardarmi.

AMORE89Where stories live. Discover now