32

478 56 40
                                    

Avrei voluto che quel "Forse domani" venuto fuori da quelle labbra violacee e così perfette fosse stato invece un "oggi" o un "adesso", ma Daniel continuava ad essere enigmatico ed io, malgrado la confusione che riusciva a procurarmi, restavo in balia di lui e dei suoi sguardi.

Quella notte non avevo chiuso occhio. Si era prepotentemente intrufolato nei miei pensieri e nonostante continuassi a ripetere a me stesso che non ci fosse motivo di sentirsi in colpa, non riuscivo a dare una spiegazione alle continue palpitazioni che avevo ogni volta che me lo ritrovavo vicino.

Così ero nuovamente li, con le mie insicurezze ad indugiare sul ciglio della porta della sua stanza, fino a trovare il coraggio di bussare e non andare via.

«Comincio a pensare che tu abbia una strana perversione nel sorprendermi in mutande!» Aveva aperto la porta e me l'ero ritrovato davanti in tutta la sua bellezza sfacciata, lo sguardo magnetico e quell'accenno di sorriso che lo rendeva dannatamente bellissimo.

«Non preoccuparti, ho visto di meglio!» Mentii, perché migliore di Daniel c'era soltanto il Daniel del giorno dopo che sarebbe stato sempre più affascinante di quello del giorno prima. Ma lui non doveva saperlo, e fingendo disinteresse entrai nella stanza senza chiedere il permesso.

«Onestamente? Ne dubito.» Fece spallucce e richiuse la porta. «Ma comprendo il tuo bisogno di non darmela vinta.»

Maledizione.

Poi continuò. «A cosa devo questa visita?»

«Non mi hai ancora dato le risposte che volevo.»

«Ti avevo detto che avresti dovuto meritartele...» Si era pericolosamente avvicinato a me con quel maledetto ghigno stampato in faccia.

Sentivo il suo profumo, il mio battito accelerare, e il viso andare in escandescenza.

«Ti vesti o no?» Tagliai corto e distolsi lo sguardo.

«Vestirmi? Perché dovrei?» Fece ancora un passo verso di me, e per un istante credetti di andare a fuoco.

«Perché non voglio stare chiuso in questa stanza.» Mi allontanai sedendomi sul bordo del letto. «E ho bisogno di fare colazione.» Per non parlare del fatto che se mi gironzoli ancora davanti in mutande non sarei capace di tenere a bada quello che si trova dentro le mie.

Daniel cominciò a vestirsi ed io non facevo altro che studiare con lo sguardo ogni suo singolo gesto. Il modo in cui si sistemava i capelli, l'aria elegante che assumeva quando si abbottonava i polsini della camicia, la maniera in cui si infilava le scarpe, dopo essersi seduto sulla poltrona e aver poggiato il gomito sul ginocchio lasciando la mano a penzoloni e con le dita dell'altra poi, far scivolare il tallone dentro la calzatura.

Dopo una lunga passeggiata, entrammo in un caffè nei pressi di Piazza Navona. Daniel aveva preso posto, sedendosi di fronte a me, e dietro di lui la Fontana Dei Quattro Fiumi serviva solo a fare da cornice ad un soggetto di estremo fascino.

«Prenderò un cappuccino...» Mi aveva bisbigliato con la testa nascosta dietro al menù, dove da sopra vedevo sbucare soltanto i suoi occhi cristallini. «E rimarrò a Roma per un po'.» Disse subito dopo, con noncuranza.

Daniel stava cominciando a dare delle risposte alle mie domande e nonostante fossi alquanto scosso da quello che aveva appena detto, la mia curiosità indugiò oltre.

«Che ho fatto per meritarmelo?»

«Hai sorriso.»

E allora il mio stomaco si accartocciò su se stesso all'istante. Una volta e una volta ancora. Aveva quella strana capacità di sorprendermi continuamente. Con le parole, i gesti, gli sguardi.

Poi al pensiero di Christian, immediatamente mi incupii.

«Che c'è? Non sei felice?»

«Io? Non so se... Cioè, non avrei mai pensato che... O meglio...»

Scorsi della sottile delusione nel suo sguardo. Poi lo vidi richiudere il menù, riporlo sulla superficie del tavolo e alzarsi.

«Daniel?»

«Vado via.» Si era già infilato gli occhiali da sole e allontanato dal caffè mentre io ero rimasto sbigottito, a metà tra l'alzarmi e lo stare seduto, con le mani ancora agganciate ai braccioli della sedia in ferro battuto.

«Che ti prende?» Riuscii a pronunciare quasi ansimando dopo essergli corso dietro.

«Mattia, non sono nato ieri, e non sono uno stupido. Non ho voglia di farmi snobbare da te o di essere preso in giro.»

«Io non ti sto prendendo in giro! E non sono uno snob!»

«Ecco che lo rifai.»

«Che cosa?»

«Neghi l'evidenza Mattia. Prima la scusa di dover studiare, poi tuo cugino con l'orticaria e adesso ti dico che resterò a vivere a Roma e tu sembri quasi esserne scontento e dispiaciuto. Ti faccio un favore, non vedrò di farti perdere altro tempo.»

«Non nego l'evidenza! Non riesco a capire che cosa ti aspettassi da me! Ti rifai vivo dopo anni, senza tralasciare il fatto di essere venuto più di una volta e di non aver provato a cercarmi, e poi pretendi che io mi butti tra le tue braccia? Se non avessi lavorato nel ristorante in cui tu per caso hai scelto di cenare con quei due uomini di cui ancora io non so nulla, non ci saremo nemmeno incontrati!» Gli gridai contro mentre sentivo lo stomaco svuotarsi e lui rimase fermo a guardarmi con uno sguardo impassibile.

«È questo il problema, Mattia.»

«Quale?»

«Che pensi che io sia soltanto uno stupido e che faccia le cose a caso.»

«Dimmi che non è cosi!»

«Non è così.» Distolse lo sguardo da me e abbassò il tono della voce.

«Allora spiegami!» Gli afferrai un braccio ma lui si liberò dalla mia presa in un istante.

«Non ne ho voglia, ora lasciami in pace.»

«Daniel ti prego. Non andare via! Io...»

«Ho bisogno di starmene da solo adesso!» Mi interruppe ringhiando e si allontanò senza degnarmi di uno sguardo.

AMORE89Место, где живут истории. Откройте их для себя