30

484 57 47
                                    

Entrati nel suo appartamento, alticcio com'ero, non gli diedi nemmeno il tempo di sfilarsi la giacca che lo spintonai sul divano dove un anno prima stavamo seduti a sorseggiare del vino. Poi posai le mie ginocchia ai lati dei suoi fianchi, sedendomi su di lui e cominciai a baciarlo.

Eccitazione, rabbia e senso di colpa. Volevo che quei baci fossero stati capaci di cancellare quei lunghi minuti che Christian aveva passato senza sospetto ad attendermi, e che potessero poi ripulirmi dal senso di colpa così da sopprimere la voglia disonesta che avevo avuto di Daniel.

Se lui era caos, Christian era ordine e costanza. Ed era quella costanza che mi faceva sentire quieto e flemmatico.

L'ordine porta pace, il caos invece sofferenza, da cui volevo fuggire nonostante ne venissi continuamente attratto.

Sciolsi il nodo della sua cravatta e aprì la sua camicia cominciando a lasciare il calore delle mie labbra sul suo petto. Poi slacciai la sua cintura e lui ansimò avvinghiandosi al bracciolo del sofà.

È te che il mio cuore vuole in verità, Christian.

E lo ripresi a baciare nuovamente mentre le sue mani mi toccavano dappertutto. Volevo amarlo come meritava, e allora mi liberai dalle tentazioni e mi lasciai spogliare, restando nudo sopra di lui. Lo lasciai entrare e io smisi di pensare perché Daniel invece mi costringeva a farlo, fino a che non mi arresi sul suo addome mentre le sue mani si irrigidivano intorno ai miei fianchi.

*

«Sei ancora infastidito, Mario?» Il suo sguardo era impenetrabile. Lo sapevo perché nonostante non mi fosse possibile vedere i suoi occhi ben nascosti dietro gli occhiali da sole, era quello che aveva sempre avuto ogni qual volta mi chiamava in quel modo. Era poggiato alla sella di una vespa, compiaciuto e curioso nel vedermi sorpreso. Mani in tasca, piedi incrociati e l'accenno di un sorriso che fu abbastanza per farmi trasalire.

«Che ci fai qui?» Glielo chiesi a bassa voce una volta che mi avvicinai a lui. Lo feci per istinto, come se Christian potesse sbucare dal nulla da un momento all'altro. Dopotutto era già capitato diverse volte di ritrovarmelo all'ingresso dell'ateneo.

«Perché bisbìgli?»

«Perché fai così tante domande?»

«E perché tu non rispondi?»

Lo afferrai per un braccio e lo trascinai con me dietro l'angolo della strada.

«Che ci fai qui?» Chiesi nuovamente, stavolta con un tono di voce più alto.

«Che domande fai! Per vederti naturalmente!»

«No. Che ci fai qui a Roma?»

«Affari.»

Diamine Daniel! Mi ero quasi dimenticato della tua loquacità!

«Ascolta...» Decisi che era meglio non approfondire e andare al dunque per il bene della mia sanità mentale, e della mia relazione. «Dimentica quello che ho detto ieri. Volevo, sinceramente, solo ringraziarti per aver parlato con Flaminia. Tutto qui.»

«I tuoi pantaloni e il tuo rossore in viso dicevano tutt'altro. Ti conosco bene. Non devi più essere timido con me!»

«Non sono timido!»

«Se negare l'evidenza fosse un sport, tu riceveresti la medaglia d'oro!»

«Se lo sport fosse quello di essere insolente tu occuperesti l'intero podio senza lasciare spazio a nessun altro!»

«Sei diventato anche divertente, oltre a...» Le parole gli morirono in bocca.

«Oltre a...» Lo invitai a continuare.

«Nulla. Non credo che ti meriti tanta onestà al momento.»

«Bene.» Mi imbronciai. «Chi ti ha detto dove trovarmi?» Gli chiesi subito dopo.

«Diciamo che Flaminia se ne intende di uomini. È stato facile attaccare bottone e chiederle quale università frequentassi.»

«Ah.» Rimasi di stucco.

«Chi è Christian?» Si tolse gli occhiali da sole.

«Chi?» Finsi una smorfia di disinteresse e noncuranza. Doveva avermi sentito pronunciare il suo nome prima di correre da lui lasciando la sua stanza.

«Christian! E poi il nulla.» Recitò melodrammatico, come se stesse leggendo un copione.

«Christian è...» Mi fermai per un secondo che sembrò durare secoli, nel tentativo di cercare qualcosa da dire. «Mio cugino!»

«Cugino? E che ci facevate a Palazzo San Luca?»

«È venuto a trovarmi ed ha deciso di pernottare lì!»

«Ed è andato già via?»

«Si! Cioè no! Partirà nel pomeriggio.»

«Bene, perché non me lo presenti?»

«Oh no, lui è un tipo molto solitario, quasi sociofobico a dire il vero. Ho provato a presentarlo ad un collega e... Gli è venuta l'orticaria.»

«Ahi!» Fece un'espressione di dolore.

«Mi dispiace, ma non potrete conoscervi.»

«Fa niente. Dimmi invece quando potremo passare del tempo assieme?»

Ogni volta che vorrai.

«Ad essere sincero ho tanto materiale da studiare e diversi esami...»

«Stai attento a snobbarmi, Mattia.»

«Non ti sto snobbando!»

«Neghi l'evidenza di nuovo...»

«E tu continui ad essere insolente.»

«Allora quando?» Mi fece un sorriso che bastò a farmi cedere.

«Dopo che mio cugino sarà partito.»

«Bene. A stasera allora? Ci vediamo da me?»

«A stasera. Da te.»

«Porta i saluti a tuo cugino. Sempre se non gli faranno venire l'orticaria!» Mi strizzò un occhio, poi si rimise gli occhiali da sole e salì sulla vespa sfrecciando via.

AMORE89Where stories live. Discover now