4

1.2K 93 71
                                    

Appena mi allontanai da casa di qualche metro, non ebbi più la forza per riuscire a trattenere le lacrime. Piangevo perché non era in quel modo che avevo immaginato di passare le mie settimane a Londra, non volevo avere più niente a che fare con Daniel e mi sentii molto presto uno stupido non appena mi accorsi di stare sprecando il mio tempo piangendo per colpa di un ragazzino immaturo e scontroso che provava piacere solamente a far soffrire gli altri.

Mi asciugai le lacrime e scesi in metropolitana. In sole due fermate arrivai a Leicester Square. Il ricordo di Daniel che mi stringe il polso, insieme all'immagine del suo viso a pochi centimetri dalla mia faccia, sfumò del tutto quando salì tutti i gradini della metropolitana e misi piede in quell'enorme piazza piena zeppa di persone. In qualunque direzione avessi scelto di voltarmi, vedevo gente camminare, con calma o andare di fretta, e milioni di turisti provenienti da ogni parte del mondo. Ad intrattenere i passanti c'erano anche le esibizioni dei numerosi artisti di strada che cantavano, suonavano, ballavano o si dilettavano in numeri di illusionismo.
Inspirai a lungo e assaporai quell'istante.

Come prima cosa decisi di cercare un bancomat, così da poter prelevare dei soldi dalla carta che mi aveva affidato mio padre prima di partire. Subito dopo iniziai a camminare per le vie piene di negozi, fino ad arrivare a Piccadilly Circus.

Passai la mattinata a camminare e a scattare foto con l'"Usa e Getta" che avevo comprato in una delle bancarelle che avevo trovato per strada. Restai affascinato dalle rosse cabine telefoniche, dall'incantata China town, dalle diverse piazze e dalle viuzze con le tipiche Tea rooms dove era possibile bere il tradizionale e rigoroso tè delle cinque. Dopo aver divorato un panino al volo, decisi di fare una sosta a St.James's Park, un enorme spazio verde che si estendeva per più di venti ettari. Lanciai lo zaino sull'erba, in riva al lago, e ci posai la testa sopra distendendomi sul prato.

Tirai fuori "Il ritratto di Dorian Gray". Nel libro, per farla breve, Dorian si lasciava andare a una vita di piaceri senza alcuno scrupolo morale, facendo soffrire quanti lo amavano. Bensì il modus operandi del protagonista fosse ben diverso, ogni pagina del romanzo non faceva altro che portare il mio pensiero su Daniel. Cosa starà facendo in questo momento? Perché l'avevo trovato in lacrime? Perché avevo reagito in quel modo? Perché quando si era avvicinato ad un millimetro dal mio viso mi era mancato il respiro? E perché nonostante il modo in cui mi avesse trattato, ero pronto a scoprire che cos'è che lo facesse stare tanto male? Erano troppe le domande a cui dare risposta, e il tentativo di leggere di Dorian Gray non riusciva a distrarmi.
«Scusa, Oscar Wilde.» Dissi, prima di rinfilare il libro nuovamente nello zaino.

Volevo far sparire Daniel dalla mia testa, volevo che il suo profumo non continuasse a tormentarmi, così come non volevo pensare più alle sue labbra, ai suoi occhi colmi di lacrime e ai suoi capelli così soffici e morbidi che sembravano fluttuare senza rispettare le leggi della gravità ogni volta che Daniel li spostava da sopra il suo viso. Uscii dal parco e tornai a casa camminando anziché usare la metropolitana. Mi sembrò di essermi dimenticato di lui per tutto il tragitto, tranne quando a pochi isolati da casa, notai il formarsi di una dolorante ecchimosi sul polso.

Come potevo scrollarmi da dosso l'insopportabile "occhiverdi" se quel livido non faceva altro che ricordarmelo?

Erano le sedici passate quando suonai il campanello e Giselle mi aprì la porta. La salutai sorridendo e prima di andare di sopra in camera mia, mi ricordò che la cena sarebbe stata pronta, come di consueto, per le sette in punto.

AMORE89Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora