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Maggio

Ho sempre amato i temporali d'estate. Quella pioggia battente che rimbalza sul mare calmo e scuro, le gocce d'acqua che tamburellano sulla sabbia e la gente che lentamente va via mentre io sono solito restare lì a godermi quel momento idilliaco. Ho sempre amato i contrasti, e il cielo grigio sulla spiaggia in pieno agosto ne è l'emblema. Li ho sempre amati perché dimostrano che niente è perfetto, o meglio, che si è perfetti nell'imperfezione, proprio come lo era Daniel. Così perfetto, affascinante e armonico anche senza i capelli; anche se quella forma rara di osteosarcoma si era fatta strada fino ai polmoni e al fegato.

Si era chiuso in bagno già da un po'. I conati di vomito erano diventati così violenti che riuscivo a sentirlo tossire senza sosta nonostante mi trovassi nella camera situata nella parte opposta del corridoio. La nausea era uno dei mille effetti collaterali della chemioterapia. Ogni volta che arrivava all'improvviso, Daniel si precipitava in bagno, ci si chiudeva a chiave e non usciva da lì finché non era passata. La prima volta che era successo avevo provato a seguirlo, a stargli vicino, ma quello che mi aveva detto urlando dall'interno del bagno tra un conato di vomito e l'altro era stato un "Mattia ne abbiamo già parlato, sparisci! Non ho voglia che tu mi veda in questo stato." Quindi quello che mi restava da fare era aspettare che la nausea fosse sparita e lo facevo standomene immobile dietro la porta del bagno, con le lacrime agli occhi.

Più Daniel soffriva e stava male, più cresceva dentro di lui la riluttanza dell'aiuto degli altri, compreso il mio. L'unica cosa che mi lasciava fare era accompagnarlo durante le sedute infinite di chemioterapia, e quella volta sarebbe stata l'ultima.

Quando Daniel uscì dal bagno non mi rivolse nemmeno la parola ma si avviò direttamente verso il portone di casa dove Robert ci aspettava per accompagnarci in ospedale.

*

Le gocce che cadevano lentamente nel deflussore, si facevano strada dentro al tubicino in gomma trasparente fino ad arrivare sotto la clavicola di Daniel, dov'era stato inserito un port per la somministrazione endovenosa.

Nella stanza c'era assoluto silenzio, e come ogni giovedì avevo preso posto di fianco al suo lettino.

Una seduta di chemioterapia durava diverse ore, e come ogni volta dalla prima, io e Daniel la passavamo organizzando il viaggio che avremmo fatto una volta che avesse finito la terapia.

Era stata una mia idea; lo trovavo un ottimo modo per distrarci, e tenere occupate le nostre menti in un momento così difficile.

«Africa.» La conversazione si svolgeva sempre in questo modo: io proponevo un eventuale meta e Daniel faceva le sue considerazioni, stilando una lista di pro e contro. Sino a quel momento però non eravamo ancora riusciti a concordare su qualcosa. «Mi sembra un ottimo posto, il clima è caldo e potremmo fare un safari all'interno della savana!» Conclusi.

«Scherzi?» Alzò un sopracciglio. «Preferisco morire per il cancro, piuttosto che venire sbranato da dei leoni.»

«Tu non morir...»

«Mattia, scherzavo. Permettimi almeno di essere sarcastico riguardo alla mia situazione terminale.»

«Ce l'ho! E non sei terminale. Australia!»

«Non ancora... Affascinante, ma troppo lontano. E odio i ragni.»

«Uh-uh, il forte Daniel Fox ha paura dei ragni adesso?»

«La codardia è contagiosa. Credo di essermi ammosciato a causa tua, sai?» Con poca forza sollevò la mano serrata in un pugno e mi colpì il braccio.

«Beh, allora... Islanda! Che te ne pare?" Domandai, e lui si prese qualche secondo per riflettere prima di rispondere.

«Potremmo andare a caccia dell'aurora boreale, trascorrere la notte in mezzo alla natura... Mi piace! Che Islanda sia!» Socchiuse gli occhi e mi rivolse un sorriso tenero.

C'era qualcosa di strano però in quel giovedì. Una sensazione costante di paura che si era attaccata con violenza al mio stomaco. Sarebbe stata l'ultima seduta che l'oncologo aveva prescritto prima di dimetterlo e a distanza di poche settimane avremo saputo dell'attuale stato del suo cancro; sentirmi così impotente, incapace di far nulla mi terrorizzava. 

Quando l'infermiera venne a staccare il port sulla clavicola di Daniel, si era già fatta sera. Robert ci venne a prendere in auto, e quando arrivammo a casa accompagnai Daniel sottobraccio fino alla sua stanza perché insieme ai capelli aveva perso anche tutte le forze.

Una volta seduto sul letto, lo aiutai a spogliarsi anche se cercava in tutti i modi di non mostrarsi stanco o debole ai miei occhi.

Poi mi sdraiai accanto a lui e tenendo tra le mie mani la sua testa poggiata sul mio petto, ci addormentammo respirando all'unisono.

AMORE89Où les histoires vivent. Découvrez maintenant