Capitolo XLVII

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Gli avevo detto di amarlo. Che avrei combattuto per lui, che avrei lottato perfino contro l'odio che provava per se stesso. E il suo sguardo si era addolcito. Mi aveva stretta tra le sue braccia, come fossi stata qualcosa di così irreale, da svanire per un suo solo sguardo.

Sorrisi, leggermente. Era lui quello capace di sparire, eppure mi sentivo io più incline a farlo o, almeno, quando gli stavo accanto e lui mi beava il cuore con una sola carezza. Poi, quegli occhi così lucidi e brillanti, si inasprivano e si racchiudevano in se stessi, mentre la bocca segreta di Aryan mi chiedeva se l'avrei mai tradito. Se lo avrei mai ucciso, ancora e ancora, sapendo, ma non volendo ammettere, quanto di lui proteggevo con avidità tra le dita.

Mi sfiorai le labbra con l'indice, trattenendo il respiro al ricordo del suo bacio e dell'amore che gli avevo donato così spudoratamente, e inconsciamente. Avevo sbagliato, mi ero condannata. Non avevo più protezione o scudi. E ora, ogni volta che mi avesse vista, lo avrebbe fatto sapendo di avermi nuda e debole difronte a lui. Anzi, senza nemmeno più un corpo, di essermi ridotta a pura anima, che bruciava per un suo bacio. E nonostante ciò, gli sarei andata incontro comunque, mi sarei stesa ai suoi piedi e avrei aspettato qualsiasi cosa avesse voluto farmi. Un completo e pazzo cuore servile, disperato. Solo.

Naym leggeva i racconti e le battaglie sulle pareti della cucina, io fissavo la tazza di tè che mi scaldava i palmi. Ma tremavo. E il guanto nero con cui avevo cercato di nascondere la parte di Fyretas risaltava sul bianco della tazza. Era stata un'idea di Naym, così come il consiglio di tranquillizzarmi mentre lui esaminava le scritte.

Dopo la dichiarazione ad Aryan, lui era svanito nel bacio. Avevo visto i suoi occhi fondersi nell'aria, mentre il suo triste viso mi abbandonava al silenzio della stanza. E dall'oblio dei sensi, era emerso il volto stanco e contenuto di Naym. Mi ero permessa una lacrima, veloce e schiva sulla guancia, e lui mi aveva abbracciata. Avvolta e voluta da un amore che non potevo ricambiare. Avevo sospirato ed ero stata meglio.

Adesso, mentre bevevo un sorso, osservavo Naym e il suo profilo attento, teso, mentre s'insinuava fra le parole. Era talmente diverso da quello affilato e lontano di Aryan, simile alla punta gelida e affilata di una freccia mortale. E io, l'inevitabile bersaglio, per cui lui non sapeva bilanciare la forza del lancio, così finiva sempre per trapassarmi ferocemente.

Posai la tazza e mi affiancai al folle motociclista. Sentendomi vicina all'improvviso, i suoi nervi si tesero, così come i miei, ma tentò di non darlo a vedere. Si bloccò solo qualche secondo, ascoltando il mio lieve respiro. Nascose un sorriso, rilassato. E continuò la lettura. Un minuto e le guance gli si accesero di un vivido imbarazzo e irritazione.

-Cosa è successo prima?- si voltò lentamente, -siete svaniti insieme, e non vi ho più visti.-

Finsi di essere concentrata sulle scritte e mostrando disinteresse o, per lo meno, nascondendo il tremolio delle mani, gli risposi.

-Ci sono volte in cui abbiamo bisogno di...- ricordai i baci, le carezze, le grida tormentate nei suoi abbracci. -... di parlare. E quindi, in qualche assurda maniera, Aryan riesce a portarci in un luogo dove nessuno può seguirci e vederci.-

-E ti sta bene che ti rapisca in questo modo?!- Calcò volutamene la voce su quel verbo. Segni d'ira ovunque, dal rossore del viso alle flebili, ma ben visibili, vene pulsanti del collo.

-Non è che mi rapisce- puntualizzai, senza mai rispondere alla sua occhiata seccata. -A volte penso di essere persino io a teletrasportarci, quindi suppongo di aver bisogno di andarmene.-

Ci fu un sospiro di silenzio, un vuoto infinito, finché Naym non sussurrò, senza forze:

-Anche quando sei con me?-

Principe di cenereWhere stories live. Discover now