Capitolo XXIV

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-Un misero pollo?- squadrò con un'occhiata il povero pennuto fra le mani callose e sporche del contadino. L'uomo non poté fare altro che rabbrividire e abbassare gli occhi davanti all'erede del Regno.

-Mio Aryan, è tutto quello che possiedo ed io ve lo dono. Non ho altr...- ma il ragazzo fu veloce a zittirlo, assottigliando le palpebre in un'espressione come per trattenere la rabbia.

-Non sono tuo, vecchio sciagurato. E' il contrario.- sentenziò duro e severo, e il suddito annuì sottomesso. -E chiamami per ciò che sono, ossia "Principe"...- poi il ragazzo sorrise con una strana scintilla negli occhi. -... e che sarò, ovvero "Re".-

-Sì, Principe.- rispose il vecchio, interamente ricoperto dal tanfo di letame e di grano appena mietuto. Aryan alzò un angolo della bocca, fiero e vittorioso. Si sistemò con un'ossessiva precisione la preziosa corona sulla testa e la divisa regale, stando attento che non si stropicciasse. E ancora sotto lo sguardo timoroso dell'uomo, si stese sul trono destinato a lui, come fosse una comoda poltrona, poggiando i piedi sui braccioli dorati per sottolineare la superiorità che provava difronte al campagnolo, spogliato di coraggio e privo d'ammirazione per il figlio del Re.

-Molto bene.- ghignò il Principe, osservandosi con aria sufficiente le unghie della mano. -Dai quel ridicolo animale ai servi e poi vattene. Non osare presentarti di nuovo con un dono del genere o ti spetterà il boia a casa, pronto a tagliarti la testa difronte ai tuoi cari e finendo per fare lo stesso con loro. Va', prima che cambi idea e mi decida a farlo ora.-

-Grazie Principe, per la vostra misericordia.- e una volta ricevuto un gesto disinteressato della mano ben curata del ragazzo, l'anziano fuggì via dal castello quasi fosse rincorso da una belva. Alla sua corsa impacciata, Aryan ghignò, muovendosi sul trono come un gatto felice del suo posto da dominatore.

Nella sala vuota che gli era stata concessa per ricevere i sudditi bisognosi d'aiuto, poiché in prova dal padre per divenire tale e uguale a lui, Aryan si guardava attorno, alla ricerca di un altro essere umano con cui scambiare piacevoli parole per divertirsi. Ma nell'enorme stanza, l'unico respiro e battito che si sentiva, era soltanto il suo; regolare e martellante come il rintocco di un orologio. Tempo che gli rimaneva, tempo che sapeva non sarebbe bastato e mai avrebbe sfruttato al meglio.

Era noioso e deprimente starsene in quell'oblio di silenzio e vuoto, dove le parole di Aryan vibravano ancora nell'aria e insieme ad esse, anche il pulsare contato del suo cuore. Abbassò lo sguardo, osservando un punto indefinito sotto di sé, quasi fosse assorto da urla che provenivano dall'antro della terra; parevano quasi gridare con dolore e disperazione: "Bruciamo, bruciamo e niente lasciamo". Gli parve una filastrocca, un'inquietante canzoncina per marmocchi, ma preferì pensare fosse solamente un'illusione dovuta alla stanchezza del momento.

Il Principe si massaggiò le tempie, chiudendo gli occhi e lasciando che la sua mente si portasse per un istante in un mondo parallelo, dove era un ragazzo come tanti, circondato da amici con i quali correre e galoppare, scambiare coraggiose parole fraterne e ridere spensierato nella notte più stellata. Poi, quando riaprì gli occhi, la realtà lo tranciò in due come un colpo di frusta. Le pareti buie e spente parevano volersi avventare su di lui, soffocarlo nella sua stessa vita.

Il ragazzo si guardò attorno guardingo, scrutando ogni angolo della sala, per poi raggomitolarsi sul trono e nascondere il viso tra le gambe e il petto.

Era tornato un bambino. Un piccolo principe dagli occhi più grandi del volto e il desiderio irrefrenabile di comandare e salvare il popolo. Aveva sempre avuto questo istinto di aiutare le persone fin dalla tenera età, ma con l'avanzare del tempo, questo suo altruismo si era ben presto modificato, trasformandosi in un'arroganza e autorità senza limiti. E lui non sapeva più come fare per tornare ad essere quel piccino con un rametto in una mano e la voglia di sconfiggere il male del mondo nell'altra. Si ritrovò così a tremare a sua insaputa, costretto nell'angolino del suo trono come polvere, a mantenere aperte le palpebre con fatica; perfino il suo corpo si ribellava a quella vita, volendo poterlo far sparire per sempre.

Principe di cenereWhere stories live. Discover now