Capitolo XLVIII

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Raccolsi dei fogli da terra, rimettendoli nei cassetti del comodino, affianco al letto. La casa mostrava ancora gli orrori della notte, quando Colin aveva tentato di uccidermi. Le ante degli armadi scardinate, lenzuoli e biancheria a terra, squarciati fra la polvere. E il mio violino sulla scrivania, racchiuso nella custodia. Intatto. La sua salvezza era un miracolo. Lo guardavo, con le mani che pizzicavano per la voglia di suonare. Il braccio si alzò istintivamente. Poi vidi il guanto. Riportai la mano al fianco. Era come vedere mio padre e non potergli parlare.

Rimasi seduta sul letto per minuti interi, su una trapunta scomposta e sgualcita, a fissare lo strumento. Aspettavo che si suonasse da solo. Che stupida. Dalla piccola finestra accanto alla scrivania, sentì Naym parlare con se stesso, anche se, in realtà, stava gridando. Mi affacciai al vetro, pulendo la condensa con la mano, mentre la cittadina compariva in lontananza. Abbassai lo sguardo, sul deserto che era il giardino attorno all'abitazione. Naym stava calciando il blocco appuntito di uno steccato. A quanto pare, tempo fa, ci doveva essere stata una recinzione. Ogni sua pedata staccava un pezzo di legno. Il corpo ingrossato che si incurvava per dare la spinta e i colpi di frusta dei suoi capelli, a ogni affondo feroce. Stringeva i denti, mostrandoli in ringhi profondi. Gli occhi costretti sotto il peso delle sopracciglia contratte e indurite. Una bestia. Schegge e ghiaia gli si erano attaccate alla pelle, eppure lui continuava. Un colpo. Un grido. Le sue mani che strappavano da terra il legno e lo lanciavano lontano. Atterrò con un suono secco sulla terra, e una nuvola di polvere s'innalzò. Cadde sulle ginocchia, urlando verso il cielo nebbioso.

Gli avevo raccontato ogni particolare della mia visione. Ma lui aveva detto di non ricordarsi nulla. E mentre gli avevo vomitavo addosso le parole, sentendo il nome del padre, la sua pelle si era ricoperta di brividi, come quando era stato piccolo. Mi ero allungata verso di lui, ma Naym non ce l'aveva fatta. Aveva avuto bisogno di stare da solo per un istante, così aveva detto. E ora lo osservavo graffiare la terra con le dita, con il capo penzolante e senza forze. Allo stesso modo, un anno prima, io ero caduta, quando l'ospedale mi aveva chiamato, dandomi conferma della morte di mio padre. Era morto solo.

Senza accorgermene, mi ero accasciata contro la finestra, spogliata di energia quanto lui. La mano posata sul vetro, in direzione di Naym.

Non ho potuto salvare nessuno. Non c'ero.

Mi dispiace, Nay.

Mi dispiace, papà.


Rientrò in casa dopo un'ora, quando il sole batteva sulla terra, filtrato dalla polvere nell'aria. Il suo viso emerse tra la luce che sfociava dalla porta; stanco, identico a quello di suo padre nel ricordo, e le mani sporche e raschiate dalla violenza. Si appoggiò di peso contro il muro, scagionando un profondo ringhio trattenuto in gola. Con lo sguardo saldo al pavimento, i rombi del suo fiato scuotevano la casa. Io gli ero davanti. Le braccia rigide ai lati, la schiena diritta e il cuore tremante, preoccupato. Volevo dirgli il mondo. Ma volevo stare in silenzio.

Naym alzò gli occhi, traballando, e me li tirò addosso brutalmente. Non avevo le risposte che cercava, né la consolazione in grado di risolvergli il dolore. Ma avevo delle ferite, proprio come lui. Ed ero certa che combaciassero, a modo loro. Aprii la bocca per dire qualcosa. Una qualsiasi frase che gli facesse notare la mia presenza, che non era solo. La sua voce fu più veloce, e mi saettò nella mente.

-Com'era lui?-

-Era un uomo che amava- dissi di getto. Ricordai le braccia con cui aveva stretto la madre di Naym, le pieghe della sua veste che si erano stropicciate per la forza. E i sussurri sul viso di lei, la dolcezza del suo pianto. Sì, era stato un uomo che aveva amato, intensamente e senza poterlo celare. Guardai Naym. La debolezza del suo corpo, così legata a quella del suo cuore. Era così che amava anche lui. -Ha cercato di proteggervi, a costo della vita- lo affiancai sedendomi vicino, contro la parete. Il freddo mi bloccò la schiena. -E così tua madre, lei...-

Principe di cenereWhere stories live. Discover now