Capitolo XX

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M'incamminai verso la sala da pranzo, sapendo che tutti mi stavano aspettando dopo quelli che pensavo fossero decine di minuti passati, per poi rendermi conto che fossero soltanto cinque. Il tempo era volato con Aryan. Così ripensai alla sua proposta, quella di suonare insieme, e un peso collassò sul mio petto. Gli avevo risposto con un "Non lo so, Aryan", ignorando con fatica la delusione sul suo volto e al suo cenno del capo prima di accettare le mie parole e svanire davanti a me. Non avevo fatto in tempo neanche a dirgli il perché del mio dubbio e, forse, non sarei riuscita comunque a rivelarglielo. Avevo sempre protetto e custodito con gelosia e ossessività il mio violino, impedendo a chiunque perfino di restarvici sopra con lo sguardo per più di sette secondi; questo perché avevo sempre avuto la sensazione che ogni occhiata portasse via dal mio strumento un pezzo di mio padre, e più ci ripensavo, più ci stavo male. Ma nonostante questo, i miei pensieri non riuscirono a stare lontani dal gesto di Aryan e mi ritrovai a ripensare alla scena con mio padre. Mi era servito, in parte, vedere il suo volto giovane, felice e spensierato, tolto dalle rughe e i segni del fumo; anche la piccola me di neanche dieci anni mentre si faceva spazzolare e abbracciare da lui. Ciliegina, pensai. Me lo ero dimenticato. Io ero la sua ciliegina. La ragione per cui si svegliava alle quattro del mattino per fare degli straordinari al lavoro; il motivo per cui si rovinava le dita fino a farle sanguinare pur d'insegnarmi a suonare; tutto di lui s'impegnava per rendermi felice, nascondendo ai miei occhi bambineschi l'intera paura e tristezza che il mondo riservava per quando sarei diventata adulta. Papà era stato bravo a mascherare i tremori delle mani, i fazzoletti imbrattati di sangue e la forza che pian piano si affievoliva dal suo corpo. Era stato dannatamente bravo. E in quel momento, per la prima volta, credetti di poter davvero affrontare il dolore, di combatterlo e finalmente sconfiggerlo. Se non per me, per lui. Glielo avevo promesso e i Giurin giurello con papà di quando ero piccola valevano più di un patto di sangue. Mi abbracciai, facendomi sempre più minuscola mentre attraversavo i corridoi della villa, ma sorrisi. Un sorriso appena accennato, velato dalle lacrime e il rombo lento eppure potente del mio cuore. Un'emozione così insignificante, così flebile e abituale, ma che su di me ebbe un effetto devastante. Non sarei mai riuscita a ringraziare Aryan abbastanza, nonostante quest'ultimo avesse -troppo spesso- dei momenti in cui avrei voluto veramente strozzarlo. Ma era stato bello ciò che aveva fatto. Per me, non per fini suoi. Quello lo rese ai miei occhi più buono, più gentile e, in qualche modo, più umano. Per qualche secondo, credetti esserci davvero speranza per quell'anima tormentata.

Non appena gli occhi di Naym incontrarono i miei, lui mi sorrise, sfoderando uno di quelli che avrebbe fatto cadere tutte le ragazze del paese ai suoi piedi. Ricambiai, osservandolo mentre mi avvicinavo. Lui era così diverso da Aryan. Non si faceva problemi nel parlare del suo passato, dei suoi problemi e della sua vita; affidava completa fiducia a chi lo circondava, senza aspettarsene dall'altra in cambio. Il contrario era il Principe. Distante e silenzioso, impediva anche solo di avviare l'argomento sui suoi ricordi e spolverarne le radici. Tuttavia, quando lo vedevi perso nel suo passato, i suoi occhi sembravano voler gridare la sua storia e raccontarla a chiunque volesse ascoltare. Ma il problema era questo: io volevo ascoltare, solo che Aryan non lo capiva. Scossi la testa, rassegnata da quel pensiero e mi sedetti di nuovo a tavola, sotto gli sguardi curiosi e critici dei padroni di casa.

-Io e il Signorino Ward stavamo proprio parlando di lei.- sentendomi interpellata dall'inquietante e rigida voce di Mark, drizzai la schiena, voltando la testa verso di lui. Presi tutto il mio autocontrollo per non far notare il leggero tremolio nel rivolgermi a lui; quell'uomo continuava ad emanare una brutta energia attorno a sé. Per un breve istante, intercettai un'infastidita occhiata di Naym per le parole di Poulin. Ero contenta di non essere l'unica ad avvertire quella strana aurea maligna attorno a lui.

-Ah, sì? E cosa avete detto?-

-Ward mi stava raccontando di quanto amiate il violino e del lavoro che svolgevate a San Francisco. Molto interessante, mi creda, ma ciò che più mi intriga è il motivo del vostro arrivo a Vyolin.- tutti gli occhi si posarono sulla mia figura, diventata improvvisamente un blocco di pietra. Neanche a Naym avevo parlato di mio padre in quelle due settimane, non avendo avuto la forza per farlo, anche dopo essersi aperto parlando di sua madre con me. Avrei rimediato. Mi fidavo di lui e sapevo che, in un modo o nell'altro, mi avrebbe aiutata. Inspirai piano e chiusi gli occhi, per poi riaprirli e vedermi ancora gli sguardi addosso.

Principe di cenereWhere stories live. Discover now