Capitolo XXVIII

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L'aria gelida mi fece rabbrividire.

I piedi tentennavano nel proseguire il loro percorso, ma avevo bisogno di pensare.

La notte a Vyolin era diversa da qualsiasi altra.

Il cielo nero, completamente, e la luna che si confondeva tra le stelle; piccoli diamanti incastonati in un anello di tenebre.

Il rumore delle suole dei miei scarponcini, il fumo chiaro che usciva a ritmo calmo dalle mie labbra, il freddo pungente alle guance e al naso. Per un momento, tutto pareva normale.

Niente problemi sui cui rimuginare, niente magia o mostri... Normale.

Chiusi gli occhi, stringendo in pugni le mani per riscaldare le dita nei guanti.

Nessuna casa aveva del fumo che fuoriusciva dai camini, nemmeno le finestre parevano mostrare vita al loro interno.

Le strade impolverate di Vyolin mi accompagnavano silenziose, sentivo lo scrocchio dei sassi sotto i miei piedi, ogni tocco come un colpo dritto al petto. Ed era tutto così morto e desolato.

Ma che cosa ci facevo ancora lì, in quel luogo sperduto e dimenticato da chiunque? Perdevo solo tempo a ricoprirmi di memorie e sporcizia, mentre fuori da lì, una vita senza Lyla proseguiva. Solamente grazie al telefono ero conscia del tempo che passava, altrimenti non avrei saputo nemmeno quello.

Avvolta nel mio cappotto continuavo a camminare, rabbrividendo ad un improvviso colpo d'aria al viso, che mi muoveva i capelli. Le fioche luci dei lampioni illuminavano appena il marciapiede, proiettando inquietanti ombre sulle facciate delle case, come oscuri cadaveri dipinti sui muri. Scacciai l'immagine e proseguii, distogliendo lo sguardo dalle figure.

Non avevo idea del perché avessi voluto fare due passi, solo che dopo aver notato la tranquillità di quella sera, non avevo resistito.

Se avessi portato con me il violino, avrei potuto suonare di come i pochi alberi ondeggiassero appena col vento o a come i corvi si appoggiassero sui tetti delle case, gracchiando verso la mia direzione. Forse, in quell'istante, qualcuno stava morendo. Potevo suonare la sua anima che scivolava via dal corpo esanime. Potevo stendermi su un prato appena tagliato e sentire il forte odore di terra penetrarmi i polmoni; osservare la luna di Vyolin, più scura del normale, come se ricoperta anche lei di cenere. Chiudere gli occhi, avere la pelle d'oca per antichi fantasmi che erano lì con me, a tenermi d'occhio. Uno in particolare.

Mi ricordai di quando, con mio padre, era normale uscire sempre in giardino per appoggiarci al muretto, lui con la classica sigaretta fra le dita ed io col viso rivolto verso l'alto. E stavamo lì, muti, mentre il cielo notturno ci parlava. In quei momenti, ci sentivamo come creature della notte, pronte a vegliare su chiunque. Era bello.

"Non avere paura della notte, piccola mia. Non farti intimorire dalla sua oscurità, in pochi sanno vedere la sua luce." poi una sua mano si poggiava sulla mia testa, muovendo le dita impercettibilmente per regalarmi una carezza. "Sono certo che tu puoi vederla, sapresti perfino suonarla." buttava fuori un po' di fumo e mi sorrideva. Io sorridevo con lui e le stelle ci si incastravano negli occhi come diamanti. Eravamo pietre del cielo, diceva sempre. E oramai mi chiedevo se fossi ancora una parte del cielo, e se lui fosse lassù, se fosse la stella che splendeva di più fra le altre. Ne ero certa. Lui avrebbe brillato per sempre.

Un pugno di vento mi colpì di colpo.

-Dove diavolo...- mormorai irritata, del tutto ripresa dai miei pensieri. Girai su me stessa, inarcando un sopracciglio confusa. Fino ad un attimo prima sapevo perfettamente orientarmi per le strade, ma ora mi ritrovavo in un posto del tutto nuovo. Una vasta distesa di terra deserta, se non per qualche cespuglio di tanto in tanto. Le case e gli edifici spariti. L'aria era cambiata, appesantendosi mentre un fastidioso odore di bruciato mi provocava vari colpi di tosse.

Principe di cenereWhere stories live. Discover now