Capitolo IX

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-E allora questo ragazzo mi fa "Scusa, amico. Ti avevo scambiato per la mia ragazza"- scoppiai a ridere in contemporanea a Naym non appena concluse uno dei tanti aneddoti divertenti della sua vita. Era davvero bello ridere con lui, ogni volta che lo faceva i suoi lugubri occhi brillavano e poi si schiarivano, lasciandomi leggere la trasparenza e la dolcezza del suo animo. Mi ero promessa di essere gentile con lui, di fidarmi e aprirmi, aspettandomi di non essere delusa e ferita. E fino a quel momento, Naym non l'aveva ancora fatto.

Afferrai il bicchiere di vino e ne assaggiai il retrogusto amaro ma invitante. Il mio accompagnatore non smise di osservare le mie labbra posarsi sul bordo di cristallo e bere un sorso del liquido rosso. Gli sorrisi e lui ricambiò, arrossendo di poco nel capire che mi ero accorta delle sue nascoste occhiate. Tornammo a mangiare, sorridendoci a vicenda di tanto in tanto e in silenzio, io osservavo la gente attorno a noi. Il ristorante era davvero pieno, persone di ogni età chiacchieravano, ridevano e mangiavano allegre e felici, tant'è che trasmisero quelle emozioni in parte anche a me. L'aria profumava di tanti cibi diversi  e le luci fioche e calde appese al soffitto donavano all'ambiente un non so che di sicurezza e tranquillità che mi invogliò a restare ancora di più.

Appena entrata dentro con Naym affianco, tutta la gente si era girata verso di me interrompendo qualsiasi cosa stessero facendo; in quel momento mi ero sentita terribilmente allo scoperto e giudicata che Naym, essendosene accorto, mi aveva preso sotto braccio e con un caloroso sorriso mi aveva scortata fino al nostro tavolo e gli sguardi si erano allontanati.

-Comunque...- inghiottii un pezzo di bistecca e indicai con un cenno del mento i tatuaggi sulle sue braccia -Perché li hai fatti?- Naym smise di mangiare e puntò lo sguardo sulla pelle che avevo indicato, sfiorando lievemente con le dita alcune figure tracciate sulla pelle. Sorrise perso nei suoi pensieri. Un sorriso triste, nostalgico, quasi sull'orlo del pianto. Abbassai gli angoli della bocca, pentendomi di avere domandato qualcosa che lo avesse rattristato. Chinai il capo, distogliendo gli occhi da lui e mi concentrai sul bordo ricamato della tovaglia.

-Questi- disse poi, indicandomi tutti i segni colorati con la mano -Li ho fatti a quindici anni- osservai un teschio sanguinante baciare una rosa nello stesso stato, con il sangue che colava per formare una frase di due sole parole: "Dolce Dolore". Smisi di mangiare e decine di ipotesi che avrebbero potuto collegarsi a quella frase mi invasero la mente, costringendomi a chiudere gli occhi per placarle. Naym mi osservò ancora un po' prima di sorridere di nuovo, emanando felicità come era solito fare ogni qual volta che la sua bocca si distendeva in un splendido sorriso.

-Mio padre se n'è andato quando ha scoperto che mia madre era incinta- cominciò a dire, ricominciando a mangiare tranquillo. Io, invece, sentivo solo un nodo allo stomaco crescere in me solo per quel dettaglio della sua vita. -Mia madre non aveva un lavoro e diciamo che, in un certo senso, stava male mentalmente- strinse in pugno la mano sopra il tavolo. Ebbi l'impulso di afferrargliela per rassicurarlo, ma mi bloccai quando lo sentii continuare. -Puoi immaginare una madre che scambia il figlio per il marito, iniziando ad urlargli contro, lanciargli oggetti di qualsiasi tipo addosso ed incolparlo per ogni cosa sbagliata nella sua vita- i suoi occhi si persero nel mare dei ricordi. Come lo sapevo? Lo sapevo perché era lo stesso sguardo di chi abbandonava il presente per ritornare nel passato; essere avvolti dai ricordi e dimenticare di non essere lì veramente, ma solo con il cuore. Oramai Naym non era più con me, era con il se stesso bambino, stavano parlando, scherzando e ricordando insieme. Ed io non dovevo intromettermi fra loro. Rimasi dov'ero, con la mano alzata pronta per coprire la sua e gli occhi piantati sul suo viso mutato dallo sconforto.

-Pensa che una volta, io avrò avuto circa sette anni, mentre dormivo mia madre mi aveva preso in braccio e quando mi sono svegliato mi ero ritrovato tutto il braccio rigato da una striscia di sangue- si fermò per assicurarsi che il suo racconto non mi avesse procurato lacrime inaspettate e continuò. -Mi aveva accoltellato alla spalla- si tolse la giacca e senza considerare i presenti nella sala, si sbottonò la camicia dello smoking e un'enorme cicatrice mi si presentò agli occhi. Turgida e secca, lei se ne stava come un marchio inciso sulla sua pelle per ricordare la sua infanzia. Mi costrinsi a tenere gli occhi ben aperti per non mostrare il mio disgusto, non per la cicatrice ma per la madre. Che razza di persona poteva essere stata per affondare la lama di un coltello nella spalla di un bambino di pochi anni, per giunta suo figlio?

Principe di cenereWhere stories live. Discover now