JONATHAN COLIN MILLER

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Jonathan

"Corri pidocchio, se ti prendiamo fai una brutta fine!"

È più un ringhio incitatorio per loro che un avvertimento, grida un ragazzotto appena fuori da scuola, impedendomi di salire sull'autobus. Ha quindici anni ma ha la stazza da diciotto, capelli corti, biondi e piccoli occhi infossati in un viso tondo ben lontano dall'essere bello, ma impeccabile, sembra essere uscito da un atelier d'alta moda. Scommetto che tiene ancora l'etichetta solo per far vedere quanto valgono i suoi vestiti.

È seguito dal "compare", poco più basso, ma ancor più agguerrito, occhi grigi, capelli neri con un taglio alla moda, ed un sogghigno pieno di superiorità da far rivoltare lo stomaco, che soddisfatto si complimenta.

"Come al solito!"

E poi ci sono io, tredici anni, mingherlino e non certo figlio di papà come loro, papà è morto in un incidente sul lavoro, schiacciato da un carrello trasportatore, faceva il carpentiere e mamma, beh mammina, la mia roccia, deve fare due lavori per assicurarmi una vita decente, è impiegata in un ufficio dentistico e la sera fa la commessa in un market aperto 24h.

Non indosso abiti firmati, da come potrete immaginare, ma non sono uno straccione, però questo sembra attirare l'attenzione indesiderata di quei bulletti "in" della scuola. Mi chiedo: ma se sono così ricchi, perché non se ne vanno in una scuola privata?

Poco importa, perché non sono gli unici a tormentarmi.

Dicevo, ho tredici anni, sono magro, piccolo ancora per la mia età, e non capisco il perché, visto che, sia papà sia mamma sono alti, beh ... papà lo era, ma mammina lo è ancora! Sorrido sempre pensando a lei.

Anche agli occhi delle ragazze sono piuttosto insignificante, il tipico ragazzino castano, perennemente spettinato, occhi scuri ma a sentir mamma, dal sorriso killer, non so cosa voglia dire, a me sembra un normalissimo sorriso buffo aggiungerei, perché offre due irregolari fossette ai lati.

Corro, corro divincolandomi in mezzo ai passanti sul marciapiede, mentre loro mi rincorrono in motorino.

L'ultima volta oltre a rompermi i jeans nuovi che mamma mi aveva appena comprato, mi hanno preso a pugni, lasciandomi come souvenir, un occhio nero e un taglio sul labbro. Per due giorni ho evitato di incrociare mamma nelle poche ore che riusciamo a passare insieme a causa del doppio lavoro, mi è costato, ma non potevo farla preoccupare più di quanto non lo fosse.

Corro, ma loro sono più veloci, non riuscirò ad arrivare a casa, penso, mi immetto in un vicolo e ... cavolo! È un vicolo chiuso, sono bloccato, mi tocca! Non ho paura, li posso affrontare, ma purtroppo so che per quanto il mio coraggio sia tanto, la mia mole mi è nemica.

Serro i pugni, ho il fiato corto e loro, scesi dal motorino si avvicinano sogghignando.

"Sei morto, lo sai?"

"Lasciatemi in pace!" Grido io urtando un bidone della spazzatura camminando all'indietro.

"Ehi pulce, dì le tue ultime preghiere!" Ringhia il bestione tirando un calcio assordante al bidone rotolato verso di lui.

"Mammina non ti riconoscerà! A proposito... ho saputo che è un bel bocconcino..."

"Cosa cavolo dice questo!" Penso sentendo una rabbia salirmi dallo stomaco.

LA MIA ADRENALINA SEI TUWhere stories live. Discover now