2 - Evita Heric Mclane come la peste

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VALERIE

Il professor Dillard passa a guardare le mie tavole e fa una smorfia delle sue.

«Questa proiezione è completamente sbagliata, signorina Morin»

Seguo il suo indice indicare il mio foglio, ma non seguo la sua voce mentre mi spiega l'errore. Sono stordita. Mi sento su un altro pianeta. Vorrei essere lontana da New York, al momento.

«Ricominci. E pulisca quelle squadrette, stanno macchiando tutto il foglio»

Annuisco così piano che non sono sicura lui mi abbia vista.

Sospiro.

Afferro il foglio e lo accartoccio come vorrei accartocciare la mia testa.

Manca un'ora alla fine della lezione. È pomeriggio, non ho nemmeno pranzato, ma lo stomaco non mi si apre. È chiuso da quando sono stata al seminario. Da quando ho incontrato Heric Mclane e i suoi amichetti di squadra.

Lo sapevo.

Sapevo che le nostre strade si sarebbero incrociate, qui alla NYU, era inevitabile. Il punto è, che non credevo ricordasse davvero di me, o almeno ci speravo. E qui, sono stata doppiamente stupida.

Era ovvio che Heric si ricordasse di me.

Sono la ragazza del capitano della squadra di Hockey della Boston University, come avrebbe mai potuto scordarsi di me?

La cosa peggiore, è... quel segreto.

Lo userà contro di me, anche se mi aveva promesso che non lo avrebbe fatto, lo so, me lo sento.

Lo userà se gli darò modo di farlo, se gli girerò in torno. Quindi, mi terrò il più lontana possibile dalla sua combriccola. Lo eviterò come la peste.

Il professor Dillard è dall'alta parte dell'aula quando gli lancio un'occhiata. Con discrezione, tiro fuori il cellulare dalla mia tasca e imposto un promemoria a tutte le ore del giorno:

"Evita Heric Mclane come la peste" e me lo ripeto nella mente come una filastrocca, fino al vomito. Fino a quando, a fine giornata, non ho la testa che mi scoppia e le vertigini.

Quando rientro a casa con Lucas, non ho nemmeno la forza di parlargli.

Sono stremata, ma noto che lo è anche lui.

Il bello di averlo come amico è che non esistono formalità tra noi. Ognuno è libero di fare ciò che vuole e io questa sera voglio tornarmene in stanza, mangiare cibo da asporto in religioso silenzio e andare a dormire.

Probabilmente è ciò che vuole anche lui, perché ci salutiamo con un cenno svogliato. Lo vedo salire al quarto piano, il suo, mentre io cammino nel corridoio del terzo.

Non so se riuscirò ad aspettare il mio Uber eats con la cena, ho troppa paura di addormentarmi prima. Mi getto a pancia in giù sul materasso e lascio andare un sospiro.

«Sei così comodo» gli dico, «vorrei sposarti» parlo a occhi chiusi. L'unica fonte di luce è quella che proviene dalla strada, oltre le finestre e improvvisamente, quando quasi mi sto appisolando, il cellulare squilla e io sobbalzo.

«Cazzo, cazzo» lo cerco tra le lenzuola. Quando lo trovo, sul display lampeggia il promemoria che ho impostato oggi. La scritta: "evita Heric Mclane come la peste" mi acceca e io scatto in piedi.

«Ti consiglio di non spegnere mai la luce, dolce Valerie» la sua voce mi suona nella testa e io mi rendo conto di una cosa: sono al buio.

Corro verso l'interruttore e la stanza si illumina di bianco. Mi passo le mani nei capelli e spingo la schiena contro la porta. Mentre scivolo per terra, penso che sarà un lungo, lunghissimo anno e io sono solamente a settembre...

NON INNAMORARTI DI HERIC MCLANEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora