8 - Una brava fidanzata

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VALERIE

Parlare a telefono con mia madre è ormai diventato un rito dal quale non posso sfuggire. La chiamata è sempre preceduta da un suo messaggio con scritto: "ci 6?" e alla mia mancata risposta, procede con diciotto chiamate nel caso io mi fossi persa o fossi finita sotto un camion.

«Come va lo studio?» è, invece, una di quelle domande che mi aspetto di ricevere tutte le volte che parliamo. Sempre dopo: "hai mangiato?" e "hai indossato una giacca? Non voglio tu ti prenda un malanno". Le mie risposte sono sempre a monosillabi un po' annoiati.

«Com'è andata la consegna di quel modellino di cui parlammo?»

Passo il telefono dall'orecchio sinistro a quello destro e mi lascio scappare un piccolo sorriso infastidito. Sono in questo laboratorio dalle otto e non ho ancora portato a termine niente.

«Diciamo che sto ristrutturando» dico, toccando gli spigoli delle mura che devo ancora incollare. «Ho avuto un piccolo problemino» che si chiama Heric Mclane.

Mamma ride e mi lascio contagiare più perché mi manca vederla ridere che per la conversazione in sé. Mi manca il suo odore che sa tanto di talco e abbracci.

Il suo rassicurarmi sulla consegna del modellino mi fa tirare fuori un lungo sospiro. Le rispondo che spero davvero di farcela questa volta e lei ripete che sono assolutamente in grado di portare a termine quel lavoro.

«E dimmi,» so già cosa sta per chiedermi «la tua prima settimana di lavoro com'è stata?»

Estenuante. Distruttiva. Odio dover impilare palline di gelato una sull'altra e sentire i bambini frignare perché ho mischiato la cioccolata con la vaniglia. Andiamo! È logico che si mischi, è gelato, dannazione.

«Tranquilla» mento, «devo ancora abituarmi agli orari dei vari turni e imparare a gestire bene il tempo che mi resta per lo studio, ma è okay»

«Mi dispiace tanto tesoro»

«Per cosa?» corrugo la fronte e mi fermo a fissare le finestre davanti a me.

La voce di mia madre è mesta quando mi parla. Mi divorano i sensi di colpa al pensiero che possa provare un qualsiasi tipo di angoscia.

«Vorrei poterti aiutare economicamente, ma io e tuo padre-»

«Tu e papà mi avete già dato tanto e continuate a farlo ogni giorno anche così, davvero» non voglio che si preoccupi per me, che si rattristi, che stia male. È già difficile sapere di tornare a casa e non vederla, l'ultima cosa che desidero è ferirla. «E poi sono a New York, ho bisogno di fare esperienze nuove»

Espiro e sorrido, questa volta, sinceramente.

Mamma fa una lunga pausa, poi dice: «Sono tanto orgogliosa di te Valerie» ed è una delle cose che più mi fa tremare il cuore.

Quando anche io, oltre mio fratello Oliver, sono andata via da Boston, lasciando lei e papà da soli in quella grande casa, ho creduto di aver dato loro una delusione. Ho creduto di aver commesso l'ennesimo errore. Invece, l'unico errore che commettevo sempre era il riempirmi di colpe che, forse, non avevo.

«Ti voglio tanto bene, mamma»

«Te ne voglio moltissimo anche io tesoro»

Ed è tutto ciò che ci diciamo prima di salutarci, così da evitare di finire in lacrime.

Metto giù il cellulare sul banco ampio e torno a piegarmi sulla schiena per mettere insieme i pezzi che comporranno il mio modellino.

In aula sono da sola. È quasi ora di pranzo, il mio stomaco brontola già da un po', ma lo ignoro. Faccio così attenzione a tagliare e levigare che non mi accorgo dei passi alle mie spalle. Non mi accorgo della persona che mi si ferma accanto e mi guarda. Non fino a quando non mi scivola davanti e si siede sul banco, tra le mie tavole, le matite sparse e i pezzi del modellino ancora da intagliare.

NON INNAMORARTI DI HERIC MCLANEWhere stories live. Discover now