5 - il tuo segreto è al sicuro con me

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VALERIE

Guardo l'insufficienza sul mio libretto universitario, accanto il modellino distrutto e mi trattengo dal piangere di nuovo.

Rido d'amarezza, perché mi rendo conto che ultimamente piangere sia l'unica cosa che mi riesce meglio.

Il punto è che sono stata un'idiota a pensare di poter sopravvivere alla NYU. Sono stata un'idiota a credere solo lontanamente che Heric Mclane potesse lasciarmi in pace e sono stata un'idiota a illudermi che qui a New York le cose sarebbero state meno difficili.

Avrei dovuto prendere un aereo anche io e partire per l'Australia, raggiungere Oliver, portare con me mamma e papà e tirarli fuori da tutta quella merda, ma non sarebbe stato semplice nemmeno scappare.

Non con la famiglia di Caius.

Non con i debiti della mia.

«Signorina Morin?»

Il professor Philips mi chiama e io sollevo lo sguardo con le palpebre che mi pesano.

Siamo ancora in aula, anche se la campanella è già suonata. I banchi sono già quasi tutti vuoti, ma io resto ancorata al mio come se potesse impedirmi di lacrimare.

«Mi dispiace per il suo modellino» mi dice il professore. Stringe la sua cartellina rossa un po' consumata, così come la borsa di cuoio che tiene nell'altra mano. «Aveva fatto un ottimo lavoro e sono sicuro che alla prossima consegna andrà meglio. Faccia solo più attenzione, okay?»

Annuisco, perché in realtà non so cosa dire.

Avevo fatto attenzione. Avevo fatto molta attenzione, l'unica possibilità alla quale non avevo fatto nemmeno accenno era quella che Heric Mclane mi distruggesse il modellino e rovinasse la mia media.

La stanza si svuota mentre io mi ricompongo e lentamente sistemo le mie cose nella mia borsa di tela color crema. L'unica cosa che non ci nascondo dentro sono le cuffie. Le collego al cellulare e me le metto nelle orecchie.

Sono indubbiamente masochista, perché lascio partire la playlist più deprimente che mi ritrovo. Non so perché io abbia questa brutta abitudine, ma è come se ascoltare musica triste mi facesse sentire meno male.

Quando esco in corridoio, mi sento come se fossi in un episodio di un telefilm, ma io non sono mai la protagonista fortunata. Io sono sempre quel personaggio che vedi di sfuggita e di cui non ricordi più il nome. Io sono l'amica strana. Io sono la ragazza con le cuffiette e i vestiti strambi. Io sono quella che non vuole attirare l'attenzione. Sono quella che vuole soltanto vivere la sua vita ma, qualche volta, desidera tanto essere vista. Desidera che qualcuno la tiri fuori dalla sua merda, perché lei da sola ci sguazza troppo bene e spesso ci annega dentro.

Io sono quella che cade e nessuno rialza.

Io sono quella che grida e nessuno sente.

Io sono quella che sta sotto la pioggia senza ombrello e viene bagnata dalle macchine che passano.

Sono invisibile ma, allo stesso tempo, esisto.

Quando varco la soglia del dipartimento, il cielo è già quasi buio. Il mio stomaco brontola e mi ricordo di non aver nemmeno pranzato oggi.

Vorrei mangiare un cheeseburger e affogare il mio malessere nelle patatine fritte. So che Lucas questo pomeriggio aveva delle ore libere, così cerco il suo numero in rubrica e lo chiamo, convinta che non dirà mai di no alla mia offerta.

«Hey Val!» la sua voce è squillante. Di solito non è così felice il lunedì, sarà perché il suo professore di diritto non si è presentato.

«Dove sei?» chiedo, stringendomi nella giacca. In sottofondo, oltre la sua voce, sento un gran baccano. «Volevo proporti una cena a base di hamburger e patatine, con tanto di film Marvel, che dici?»

NON INNAMORARTI DI HERIC MCLANEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora