Capitolo 10 - Mason

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Alla fine lo aveva fatto.

Aveva raccontato la sua storia a qualcuno.

L'aveva raccontata a Seb.

Sì, Mason aveva fatto anche quello: aveva chiamato quel ragazzino tutto strambo e logorroico con gli occhi celesti più belli che avesse mai visto in vita sua con il suo nomignolo.

Aveva ceduto anche Mason e lo aveva chiamato Seb. Poi, il sorriso che aveva ricevuto in cambio... quella era un'altra di quelle storie che sarebbero rimaste per sempre custodite nella mente traumatizzata e dagli istinti suicida di Mason.

Non poteva di certo dire a voce alta che il sorriso che gli aveva donato Seb gli aveva stretto lo stomaco.

Non pensava nemmeno più che lo stomaco potesse ritornarglisi a stringere per via del sorriso di un ragazzo.

Roba da pazzi. Beh, ma Mason era pazzo quindi, alla fine dei conti, doveva anche aver senso tutta quella situazione di lui che si emozionava per un cazzo di sorriso.

Avrebbe dovuto chiamare di corsa la sua psicologa.

Ritornò a fissare la foto di Timmy, lo avvertì subito al suo fianco come ogni singola volta che pensava troppo a lui. Come ogni volta che non lo faceva perché era vero: Timmy sarebbe rimasto sempre al suo fianco, che Mason lo vedesse o meno.

Non c'era riuscita la terapia a farglielo inculcare nella mente, ma ci era riuscito un ragazzino chiacchierone con i capelli viola.

Sospirò, alzò una mano e se la portò al petto. Al di sotto della felpa avvertì le piastrine di riconoscimenti militari che non aveva mai tolto dal suo collo.

«Sei sempre stato uno di quei tipi che pensano troppo, Mason», parlò la voce inconfondibile di Timmy.

Mason chiuse gli occhi. Li sentiva umidi.

«È qui, vero?»

Mason aprì di scatto gli occhi e li puntò su Seb. Era tutto infagottato nella sua felpa, il cappuccio sulla testa da cui uscivano dei ciuffi di quegli assurdi capelli che aveva tinto di viola. Aveva quegli occhi troppo grandi puntati su di lui, le labbra carnose distese in una linea troppo seria.

«Perché per te non è strano? Perché non mi dici che sono pazzo?» gli domandò Mason.

Seb inclinò il capo di lato, poi si mosse e gli si fece ancora poi vicino.

Pericolo. Pericolo. Quella singola parola rimbombava nella testa di Mason.

Seb poteva essere pericoloso?

Si puntò un indice con l'unghia laccata di nero contro. «Ma mi hai visto?»

Purtroppo.

«Eh, ti ho visto. Non credo che anche tu sia un fantasma».

La risata di Seb assomigliava al suono dei campanelli delle reception degli hotel. Quel suono non riuscivi mai a capire se fosse grazioso o fastidioso.

«Non sono un fantasma», disse, poi si imbronciò di colpo e si fece pensoso. «Almeno credo».

Mason si passò una mano sulla testa rasata, era esausto e la gamba aveva iniziato a fargli male perché era troppo tempo che si trovava nella stessa posizione, distesa sui bricciolini del cimitero.

«Seb, riordina i pensieri, per favore».

Seb si riscosse e sorrise. Era incredibile quel modo repentino con cui riusciva a cambiare espressione del viso.

«Oh, adoro sentirmi finalmente chiamare Seb anche da te. Hai quella voce così rrrrombante, Mason musone. Mmh... cosa ti stavo dicendo? Penso di essermi distratto».

Come un fiore tra le mine (Red Moon Saga Vol. 5)Where stories live. Discover now