Capitolo 27 - Mason

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«Mason... Qual buon vento ti ha spinto a venire fin qui di nuovo?» gli disse Michael, spalancando la porta per permettergli di entrare con la sedia a rotelle.

«Un vento abbastanza tempestoso che prende il nome del nostro migliore amico in comune», rispose Mason, usando lo stesso tono sarcastico di Mike.

Udì il rumore della porta che veniva chiusa e, poco dopo, i passi lunghi di Michael. Si ritrovarono l'uno accanto all'altro, a muoversi verso il suo studio off-limits per i comuni mortali. Nel loro gruppo, di persone comuni non se ne ritrovava nemmeno mezza. Perfino Jamie, il quale poteva risultare esternamente come il più pacato e il più normale proprio perché era avvolto da quell'aria da eterno e dolce bambino, nonostante avesse quasi trent'anni. Anche se, in realtà, non lo era per nulla.

«Hai notato anche tu qualche comportamento strano in Evan? Cioè... non sta compiendo le sue solite stranezze» gli chiese Mike, aprendo anche la porta del suo studio per farlo entrare e richiudendola subito dopo alle loro spalle.

Mason si fermò con la sedia a rotelle davanti l'ampia scrivania dell'uomo, piena di monitor, attraverso i quali aveva una visione completa sia dell'esterno che dell'interno del suo locale.

Michael era sempre stata una persona meticolosa, sapeva che i locali come il suo rischiavano la chiusura e di essere confiscati ogni singolo giorno, proprio perché non erano ben visti e perché si credeva, erroneamente, che tutti fossero delle semplici coperture per gli spacci di droga e per favorire la prostituzione.

Mike poteva chiudere un occhio su qualche canna fumata fuori o nei bagni, ma non sul resto. Teneva troppo alla sua attività e quindi aveva finito per riempire il Red Moon di buttafuori e telecamere. Nulla poteva sfuggire ai suoi occhi, soprattutto perché dietro al bancone, da quando quel posto era diventato il suo, anzi, il loro, c'era Jamie.

«L'hai notato anche tu?» Ciò significava che Evan non era stato così bravo a fingere come doveva aver creduto. Aveva pensato, erroneamente e stupidamente, di darla a bere a tutti.

Michael si rinfilò gli occhiali dalla montatura nera e spessa, che aveva lasciato accanto alla tastiera del computer. Scosse il capo. «Jamie l'ha notato prima di me.»

A Mason venne da sogghignare. A quella dannata principessa non sfuggiva mai nulla.

«Cosa pensate che abbia? Ho provato a parlargli, ma mi dice sempre che esagero e che i periodi no possiamo averli tutti», gli spiegò. Poi gli venne da sbuffare. «Sono cazzate, non è Evan.»

Gli occhi scuri di Michael si muovevano velocemente sugli schermi, a tempo con il tic tic tic del mouse.

«Io credo che Evan, nonostante sia sempre stato accerchiato da tante persone, tante persone che gli vogliono bene, si senta solo.»

Mason sgranò gli occhi. «Solo?» ripeté.

Mike annuì, si sfilò gli occhiali e iniziò ad accarezzarsi il ponte del naso. «Jamie, invece, pensa anche a un'altra cosa.»

«Michael, non parlare a pezzi. Mi innervosisce. Dimmi cosa pensa Jamie senza fare strane pause a effetto.»

Michael si rimise gli occhiali e lo fissò con occhi attenti, seri, con occhi che nascondevano, in realtà, anche molta preoccupazione.

«Evan potrebbe sentirsi ancora in colpa per Timothy. In auto... lui lo stava stuzzicando, io mi sono distratto nel guardarli e...»

«No!» sbottò Mason. Michael sgranò gli occhi. «Ci ho messo anni, Mike, anni per cercare di farmene una ragione, per arrivare alla consapevolezza che è stata una fottuta tragedia. La strada era ghiacciata, quel camion ha slittato sull'asfalto... So, dentro di me, che Timmy non vorrebbe mai che io ce l'avessi con nessuno di voi. Non è stata colpa tua. Non è stata colpa di Evan. Non è stata nemmeno colpa di quell'autista.»

Come un fiore tra le mine (Red Moon Saga Vol. 5)Where stories live. Discover now