Capitolo 9

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Ho passato la vita a
guardare negli occhi della
gente, è l'unico luogo del
corpo dove forse esiste
ancora un'anima
J. Saramago

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Los Angeles, California

Weston

Di occhi nel corso della mia vita ne avevo visti tanti, forse troppi. E non intendevo vedere solo di sfuggita, no, perché io avevo l'abilità di leggere quelle iridi e quelle pupille. Io riuscivo a vedere le sfumature che le colorate iridi assumevano in base all'emozione o al ricordo che la persona provava.

Quando ero in servizio militare, gli occhi di quelli che definivo nemici mi parlavano. Non perché io fossi una qualche specie di mago, ma per il semplice fatto che anche i miei occhi, così come quelli dei soldati alleati, avevano la stessa sfumatura. Nessuna delle due parti voleva essere lì in quel momento. Nessuna delle due parti voleva combattere e tenere in mano quei fucili, non quando quelle stesse mani portavano fedi nuziali e solevano abbracciare i figli. Nei loro occhi vedevo una nota di stanchezza mischiata alla disperazione e alla speranza. Volevamo tornare tutti a casa dalle nostre famiglie. Eravamo stanchi di svegliarci ogni mattino allo stesso modo e consapevoli che quella sarebbe potuta essere l'ultima volta che ci saremmo potuti risvegliare da un sogno.

In quel momento, però, davanti a me avevo un'altra tipologia di occhi.

Alejandro non era come i soldati sul campo da battaglia, ma comunque tra le sue mani teneva una pistola. Nei suoi occhi vedevo solo tanta determinazione. A lui non importava del mezzo, ma solo di raggiungere il suo scopo. Sembrava non avere un'anima. Lui era una di quelle persone che non potevano cambiare. Era impossibile. Non rientrava nella sua indole.

Un peso sulla spalla mi fece ricordare della presenza di Claire accanto a me.

Si era addormenta e aveva poggiato la testa sulla mia spalla. Chissà, forse anche lei aveva problemi nel dormire come me.

I suoi occhi mi avevano colpito sin dal primo istante. Erano rari seppur il loro colore fosse il più diffuso su quel pianeta. Le sue iridi marroni, infatti, rispecchiavano un'anima pura ma tremendamente stanca. Aveva bisogno di riposare e sembrava incurante a quella sua necessità. Conoscevo bene quello sguardo.

Avrebbe finito per distruggersi e forse non sapeva che stava già succedendo.

Le strade californiane si assomigliavano tutte tra di loro, ma Los Angeles era unica.

Forse, per una persona che come me era cresciuta in una piccola città della Virginia, LA poteva risultare troppo caotica.

E, in quel momento, realizzai che Claire fosse la perfetta somiglianza con quella città. Entrambe estremamente belle al di fuori che avevano l'abilità di lasciarti stregato. Se, però, imparavi a conoscerle un po' più a fondo, avresti potuto renderti presto conto che nascondevano del marcio al loro interno. LA, così come tutte le città statunitensi, aveva i suoi immensi problemi. Perché sì, la città degli angeli non era solamente "Hollywood" e la famosissima "Walk of fame", ma era anche moltissima gente che non aveva una casa e che era costretta a vivere per strada. Dormire su un marciapiede nonostante piovesse o ci fosse un torrido caldo. Era abitata da tossicodipendenti ed era perfetta per un narcotrafficante come Alejandro. Certo, quel viaggio era stato più che inaspettato, ma non mi stupiva.

Le alte palme di San Diego vennero presto sostituite da quelle di Los Angeles che ci aveva accolti in quella giornata di novembre.

Claire iniziò a svegliarsi e velocemente ci incastrammo tra le varie auto che riportavano sulla targa la scritta "California".

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