Capitolo 17

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La gente potrebbe

imparare dai propri

errori se non fosse così

occupata a negarli.

Carl Gustav Jung

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Di sbagli nella mia vita ne avevo fatti tanti. Quello che però non sarei mai riuscita a dimenticarmene era quello commesso qualche anno più indietro.

Il mio sbaglio era stato quello di non essere vigile, di non notare i dettagli, di aver chiuso gli occhi davanti a qualcosa di così tanto pericoloso.

Monica era stata la prima persona che avevo incontrato non appena avevo messo piede nell'accademia della DEA.

Mi ricordavo ancora come la prima cosa che notai fu la sua bellezza disarmante.

Possedeva lunghi e sani capelli neri e dei grandi e limpidi occhi azzurri.

Monica era stata la mia compagna di stanza.

Mi ricordavo ancora come lasciasse costantemente la sua parte in disordine non avendo voglia, dopo una faticosa giornata di addestramento, di sistemare quel macello.

Alla fine, per un qualche assurdo motivo, mi ritrovavo sempre io a dover sistemare non solo le mie cose, ma anche le sue.

Monica era stata la mia migliore amica.

Mi ricordavo di come ogni sera dopo cena ci dirigessimo nella nostra stanza e, dopo aver fatto una doccia ed esserci messe il pigiama, spettegolavamo sugli insegnanti e sui nostri compagni di corso.

La sorvegliante ormai non ci sopportava più a causa di tutte le volte che era dovuta venire da noi chiedendoci di abbassare la voce.

Monica era stata la persona più pura e genuina che avessi mai conosciuto, l'unica che ero riuscita a considerare un'amica.

Monica mi aveva abbracciata quando le avevo raccontato di mio padre e mi aveva offerto una carezza per conferirmi la forza quando le avevo spiegato la delicata situazione di mia madre.

Quella ragazza per la quale avrei fatto di tutto a quei tempi, in realtà, dietro a quei limpidi e all'apparenza dolci occhi azzurri, nascondeva ben altro: un problema, una dipendenza.

La mia attenzione venne subito distolta dalla sveglia che avevo impostato per avvertirmi in modo tale da finire di fare un plank.

«Un penny per ogni tuo pensiero, ricciolina» affermò Weston che era sdraiato sul pavimento del soggiorno accanto a me che si stava riscaldando.

«Fidati, meglio di no...» risposi io sorridendo con leggerezza verso la sua direzione.

Weston non era mai stato solamente un collega. Non sapevo per quale motivo, ma con lui era sempre stato diverso. Forse era perché vivevamo sotto lo stesso tetto, o perché fingevamo di stare insieme, ma il nostro rapporto non era come quello che avevo instaurato con altri colleghi.

Weston sapeva cose che solo io e mia madre sapevamo. Cose necessarie per il nostro lavoro, era vero, ma comunque non cambiava il fatto che fossero informazioni personali.

Mi obbligai a pensare esclusivamente al caso che dovevamo portare a termine.

Avevo scelto quel lavoro per mantenermi concentrata su tutto tranne che sulla mia vita e invece non stava funzionando.

UndercoverWhere stories live. Discover now