𝕿𝖗𝖊

130 41 151
                                    

21 giugno, 1961

𝐼𝑛 𝑐𝑢𝑖 𝑝𝑟𝑒𝑓𝑒𝑟𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑖𝑙 𝑠𝑖𝑙𝑒𝑛𝑧𝑖𝑜...

Clayton si svegliò, quella mattina, con la luce del sole che cadeva direttamente sul suo viso e quando aprì gli occhi constatò con disappunto che sua madre aveva scostato le tende dalla finestra.

Si passò una mano sul viso e allungò le gambe sul materasso, prima di prendere l'ardua decisione di alzarsi dal letto. Tastò il comodino lì di fianco in cerca dei suoi occhiali e, quando finalmente li trovò, se li mise sul naso, pronto a iniziare un'altra terribile giornata. L'idea della festa che si sarebbe tenuta in casa sua quella stessa sera gli metteva già la nausea ma, per lo meno, avrebbe potuto distrarsi uscendo con i suoi amici.

I suoi occhi caddero ancora una volta sul libro ai piedi del letto, non l'aveva più toccato dall'ultima volta, eppure il pensiero di quello che aveva visto non voleva lasciarlo in pace: doveva sicuramente trattarsi di uno scherzo. Represse l'impulso di raccoglierlo per ricontrollare se avesse semplicemente letto male e, invece, si alzò dal letto per poi scendere lentamente le scale, rallentando ancora di più il passo quando sentì le voci dei suoi genitori in sala da pranzo.

A sua madre non piaceva dire in giro di avere camerieri che giravano per casa a pulire, cucinare, sistemare e, per poco, accompagnare anche al bagno in caso di necessità, eppure quelle due donne che stavano in piedi agli angoli della stanza in attesa di ordini erano proprio lì per quello. Le chiamava collaboratrici, assistenti o con altri appellativi ridicoli per far colpo sul vicinato. Clayton non capiva il motivo di tutti quegli sforzi per piacere agli altri, lui non ne aveva mai sentito la necessità.

Bridget e Augusta - le collaboratrici - lo salutarono cortesi nell'esatto momento in cui mise piede in sala da pranzo. A Clay piacevano quelle due donne, anche se di base non apprezzava la presenza di altre persone in casa, perché nonostante lo avessero visto nelle condizioni peggiori - quel giorno con gli occhiali storti, il segno del cuscino sulla guancia e i capelli spettinati - gli rivolgevano sempre il migliore dei sorrisi e più attenzioni di quanto non facesse la sua stessa famiglia.

«Clayton, ti sei svegliato tardi.», fu l'unico commento del padre, seduto a capotavola davanti a un piatto stracolmo di cibo: uova fritte, salsicce, pomodori e pane fritto, tutto rigorosamente preso dai mille piatti che decoravano la tavola.

«Sono in vacanza.», replicò lui, prendendo posto di fronte alla madre. Bridget gli riempì il bicchiere con il succo d'arancia.

«Questo non significa che tu debba poltrire tutto il giorno. Cosa farai quando inizierà l'Università?», rispose l'uomo in tono severo. Clay non era mai riuscito veramente ad avvicinarsi a lui e, se fosse stato un ragazzo normale, avrebbe probabilmente voluto dirgli che non erano affari suoi quanto dormiva, che non aveva il diritto di dirgli cosa fare e che era soltanto un vecchio e burbero idiota. Clay non era un ragazzo normale, però, e nulla di tutto ciò uscì dalle sue labbra: come al solito lasciava che tutto gli scorresse intorno e diventava invisibile il tempo necessario affinché tutto ritornasse alla normalità.

«Hai già deciso cosa indossare stasera?», intervenne la madre, già bella come il sole, pettinata e profumata, mentre infilava in bocca un pezzo di fragola. 

Clay si chiese con quale coraggio avesse deciso di sposare un uomo come quello quando avrebbe potuto avere chiunque, ma forse, concluse, nemmeno lei aveva scelto di viverci la sua vita insieme. Era chiaro, limpido, ai suoi occhi che nessuno dei due amava l'altro e le numerose avventure amorose della madre non erano certo così discrete, eppure il padre aveva scelto di chiudere gli occhi, lei aveva scelto di chiudere gli occhi e a Clay non era rimasto che fare altrettanto. Erano una semplice abbiente famiglia dallo sguardo offuscato.

𝗕𝗮𝗺𝗼𝗿𝗮𝗹 𝗖𝗮𝘀𝘁𝗹𝗲Wo Geschichten leben. Entdecke jetzt