𝕯𝖎𝖊𝖈𝖎

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25 𝑔𝑖𝑢𝑔𝑛𝑜 1961

𝐼𝑛 𝑐𝑢𝑖 𝑖𝑙 𝑡𝑒𝑚𝑝𝑜 𝑠𝑡𝑎 𝑝𝑒𝑟 𝑠𝑐𝑎𝑑𝑒𝑟𝑒...

Bamoral.

Era il nome che Clayton aveva deciso di affibbiargli. Si chiedeva se, forse, avrebbe dovuto davvero appropriarsene. Lui, che amava così tanto quel castello. Lui, che lo odiava con altrettanta passione. Lui, che si smarriva dentro i cuori di chi ne varcava la soglia e sentiva sfumare i contorni del proprio essere di fronte alla loro paura. Chi era?

Clayton, Clayton, Clayton. Quello sì che era un bel nome, lo faceva impazzire e voleva sussurrarlo, mormorarlo alla fine di ogni frase, urlarlo. Clayton!

Ma, Bamoral...

Bamoral era l'unica cosa che gli permetteva di ricordare il suo ruolo in tutta quella meschina sceneggiatura. In una situazione dov'era sempre lui ad ascoltare, il castello lo comprendeva come mai nessuno aveva provato a fare. Forse la piccola Meryl si era pentita del suo patto e compativa il frutto del suo egoismo, della sua sete di sangue, ma questo nessuno poteva saperlo.

Aveva promesso a Clayton che l'avrebbe aiutato a ritrovare i suoi amici e non gli piaceva mentire, preferiva affidarsi a mezze verità – eleganti e senza troppe pretese – ma sapeva che quella promessa non avrebbe mai potuto mantenerla. Era impossibile ritrovarli, Bamoral mutava a ogni battito di ciglia inglobando tutto ciò che aveva al suo interno e, per quanta influenza potesse avere su quel castello, non era che un granello di polvere di fronte al potere che gli altri avevano su di lui. Non c'era una via di fuga, tutto quello che poteva fare per lui era dare una mano a quei ragazzi, spingendo le porte a comparire, le stanze a dissolversi e i corridoi a curvare, affinché potessero ritornare alla luce del sole, ma c'era un limite anche alle sue possibilità. Ascolta e rimani zitto. E così fece.

Clayton pianse per ore da quando incontrò quel bambino che aveva allontanato tanto bruscamente dalla propria vita e lui rimase a osservarlo in silenzio, da un angolo della stanza. Era diverso dagli altri: Clayton non provava paura, Clayton non provava rabbia, Clayton provava una tristezza soppressa che a Bamoral arrivava disturbata, come se qualcosa stesse cercando di soffocarla. Il suo cuore era un labirinto, una sfida, un libro che non aveva mai ancora aperto e lui voleva leggerlo, così disperatamente, voleva capirlo e studiarlo tanto da saperne le parole a memoria. E, finalmente, ci riuscì.

Quando poi il ragazzo chiuse gli occhi e si addormentò, completamente indifeso dentro quella stanza, lui si alzò, per sentire il suo respiro lento e perfino in quel momento riusciva a percepire la sofferenza di Clayton. Lo coprì nel vedere le sue lunghe gambe tremanti strette al petto e lasciò che poggiasse la testa sulle sue cosce, mentre le dita affusolate scivolarono tra i suoi capelli, provando a portar via un po' di quel dolore che ormai era abituato a sopportare. Osservò in silenzio le ombre che le ciglia proiettavano sulla pelle rigata da lacrime ormai asciutte e continuò ad accarezzarlo passando dalle guance, esitando sulle labbra per disegnarne i contorni, fino a circondargli il collo minuto.

«Sarebbe così semplice ucciderti adesso...», mormorò inclinando il capo, mentre le labbra di Clayton si schiudevano appena, nel sonno. Il pollice scivolò sotto il suo orecchio, avrebbe potuto premere, far forza su quella gola sottile e impedire il passaggio d'aria quel tanto che bastava per far cessare il battito frenetico del suo cuore, ma non lo fece. C'era qualcosa che lo fermava, qualcosa che lo portava a raccontargli tutta la sua storia, che lo faceva sorridere di fronte alle sue domande impertinenti. Cos'hai di diverso? Continuava a chiedersi ogni volta che incrociava lo sguardo di quel ragazzo.

Clayton non gli credeva, non pendeva dalle sue labbra, non rimaneva ammaliato dalla sua voce morbida com'era già accaduto con altri. No, Clayton dubitava, era scettico e metteva in discussione ogni sua frase. Clayton lo divertiva tanto che, anche dopo aver compreso il suo animo nel profondo, non riusciva a porre fine alla sua vita.

𝗕𝗮𝗺𝗼𝗿𝗮𝗹 𝗖𝗮𝘀𝘁𝗹𝗲Where stories live. Discover now