𝕿𝖗𝖊𝖉𝖎𝖈𝖎

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𝐼𝑛 𝑐𝑢𝑖 𝑚𝑖𝑙𝑙𝑒 𝑝𝑎𝑢𝑟𝑒...

Lonnie aveva mille paure. Aveva paura della malattia, paura di soffrire, paura che lei convincesse la morte a porgergli la mano, paura di chiudere gli occhi e di non riaprirli mai più per via della raccapricciante accoglienza che riusciva a scorgere in quel sonno eterno. Lonnie aveva paura di lottare per poi essere sconfitto ancora e ancora, fino a quando non sarebbe più stato in grado di rialzarsi, fino a quando non avrebbe più voluto rialzarsi.

Eppure, in quel momento, avrebbe pregato affinché fosse stata la malattia a inseguirlo piuttosto che essere assordato da quei passi irregolari, dallo stridere dei coltelli sulle pareti e dalle risate puntinate di quella follia che lo faceva rabbrividire.

Seguì con il cuore in gola la schiena di Nora fino all'ennesima stanza e si chiuse la porta alle spalle, prima di voltarsi verso di lei. Era ferma, con una mano attaccata alla parete e l'altra a stringersi lo stomaco che stava riversando sul pavimento in legno tutta l'angoscia provata. Il vestito era rosso di sangue, le braccia colme di piccoli dolorosi tagli e il viso arrossato e bagnato dalle lacrime. Vide le sue gambe tremare e la raggiunse appena in tempo per impedirle di cadere sulle ginocchia.

«Nora!», singhiozzò Lonnie prendendole il viso tra le mani soltanto per vederne gli occhi sgranati e il panico serpeggiare ancora una volta tra i suoi lineamenti.

«Stai lontano! - urlò la ragazza allontanandosi - Lasciami andare!», la voce le uscì spezzata dalle labbra, mentre scivolava per terra e si allontanava strisciando verso la parete, con occhi quasi ciechi puntati su di lui come fosse l'incarnazione del peggiore dei mali.

Lonnie la osservò con le mani che tremavano e le labbra che premevano l'una sull'altra per costringere le lacrime a fermarsi. Lei stava guardando il punto in cui Lonnie si trovava, ma sembrava non riuscire a vedere quel ragazzo che era stato suo amico, in piedi lì davanti, e Lonnie ebbe l'impulso di abbassare lo sguardo sulle sue braccia, sul suo corpo, per assicurarsi di essere ancora il ragazzino basso per la sua età, dalla pelle scura e dai buffi ricci che facevano sempre ridere tutti. Sembrava così, anche se di buffo in lui non era rimasto più nulla, nemmeno il flebile ricordo di una risata a illuminargli le labbra.

Le si avvicinò, per poi inginocchiarsi e prenderle le spalle tra le mani, mentre Nora spaventata voltava il capo dall'altra parte spingendosi sempre più lontana da lui. Il cuore di Lonnie si spezzò, nel notare la forza con cui Nora stava cercando di respingerlo. Aveva mille paure e ciò che gli stava di fronte era proprio una di queste.

Prima di entrare nel gruppo di Hazel, prima di poter dire di far parte di un gruppo, Lonnie passò la sua infanzia completamente solo. Costretto a letto per giorni quando si ammalava, non c'era nessun altro che non fosse sua sorella a preoccuparsi per lui, non conobbe mai il significato aulico che tutti attribuivano all'amicizia e si ritrovò dunque a stringersi in quella pelle che agli occhi degli altri lo trasformavano in qualcun altro, qualcuno più forte, qualcuno più amato di quanto lo fosse lui. Poi divenne avaro di quella nuova personalità, dipendente da quegli sguardi divertiti e sempre in cerca di qualcosa in più. Così, da Leonard nacque Lonnie, quel buffo e irresponsabile ragazzino che sorrideva al sole e che cedeva il suo posto al triste ragazzo soltanto a casa, nella sua stanza, con la porta chiusa, le luci spente e le coperte a nascondere la vergogna di essere nato.

Lonnie aveva mille paure. Aveva paura che quella sottile membrana che nascondeva Leonard agli occhi degli altri si spezzasse, aveva paura di rimanere solo perché ne conosceva il vero significato, aveva paura di essere disprezzato e allontanato come un lebbroso. Lonnie aveva mille paure e quel castello sembrava essere in grado di scavare dentro la sua mente, di graffiare e far uscire tutto quel sangue per riportarle in vita una ad una.

𝗕𝗮𝗺𝗼𝗿𝗮𝗹 𝗖𝗮𝘀𝘁𝗹𝗲Where stories live. Discover now