𝖁𝖊𝖓𝖙𝖚𝖓𝖔

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𝐼𝑛 𝑐𝑢𝑖 𝑢𝑛𝑎 𝑠𝑡𝑜𝑟𝑖𝑎 𝑠𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑓𝑖𝑛𝑒...

Il tempo passò e Clayton continuò a svegliarsi accanto al corpo addormentato dell'altro ragazzo, continuò ad alzarsi e andare a lavorare sotto il vigile sguardo dei due Conrad, uno curioso e l'altro preoccupato, per poi tornare con un sorriso e scrivere per qualche ora quel suo libro che Conrad ancora non aveva il permesso di leggere. Non volle mai rivelare la sua scadenza e viveva ogni giorno come se fosse l'ultimo, Conrad d'altro canto si svegliava terrorizzato di non vedere più il suo petto muoversi sotto i respiri.

Eppure, non poteva fare nient'altro che sorridergli e augurargli una buona giornata mentre lui mangiava, si vestiva e usciva a vedere quel piccolo mondo nel quale Clay lo aveva trascinato. Non seppe come, ma in qualche modo riuscì a trovargli dei documenti e presto gli portò alcuni vestiti da poter indossare, così lentamente Conrad smise di essere uno spettro e divenne uno di quei tanti che sul marciapiede guardavano dritti al loro obiettivo scansando spalle e borse per rimanere in piedi.

Quando era il giorno libero di Clayton, lo portava sempre in posti nuovi e Conrad continuò a rimanere affascinato da qualsiasi oggetto, arte, stranezza catturasse il suo sguardo. A Clay piaceva così tanto vedere il sorriso sul suo volto che quasi gli venivano i brividi ogni volta che lo vedeva ridere senza più quel pizzico di tristezza, senza più quegli occhi spenti a sopprimere la sua gioia.

Uno di quei giorni, però, fu Conrad a stupire Clayton. Quando quest'ultimo aprì gli occhi, infatti, al suo fianco il letto era vuoto, le coperte scostate e le tende aperte a lasciare che il timido sole invernale si intrufolasse nella stanza.

Clayton allungò la mano sul comodino e afferrò gli occhiali prima si alzarsi a sedere. Assottigliò lo sguardo prima di sentire alcuni rumori provenienti dalla cucina, poi si alzò controvoglia rabbrividendo dal freddo e seguì quei suoni per trovarsi di fronte a Conrad intento a cucinare la colazione. Sorrise perché era il suo periodo di sperimentazione, aveva appena capito cosa volesse dire cucinare e voleva che Clayton gli insegnasse tutto, ma quella era la prima volta che si metteva ai fornelli da solo.

«Buongiorno! – lo salutò allegro, mentre l'odore di bruciato faceva storcere il naso a Clayton – dobbiamo sbrigarci, oggi abbiamo un lungo viaggio da fare.», gli sorrise prima di allungarsi a lasciargli un veloce bacio.

«Forse è meglio che controlli le padelle. – gli suggerì allungando la testa oltre le sue spalle – Dove vuoi andare?», gli chiese poi.

«Oh! Le uova...», mormorò sconsolato spegnendo il fuoco con il risolino di Clayton come sottofondo. Nel mentre il piccolo Conrad – ormai avevano soprannominato il gatto in questo modo – si strofinava contro le gambe di Clayton in cerca di cibo.

«Senti, che dici se facciamo colazione fuori oggi?», gli chiese allora cercando di non guardare con orrore il cibo carbonizzato che Conrad stava torturando con la forchetta. Il ragazzo sospirò, ma annuì.

«Volevo farti una sorpresa.», borbottò allora spostando lo sguardo sul gatto che scappò quando un pezzo di uovo cadde per terra. Clayton rise e gli prese il viso tra le mani prima di baciarlo ancora.

«Tu sei una sorpresa...Tutti i giorni, credimi.», lo rassicurò.

«In ogni caso, la giornata ancora non è persa! – esclamò il ragazzo dopo un po' – Forza, vestiti che dovrai guidare per un bel po'.», gli disse mentre apriva la scatoletta per il piccolo Conrad che saltellò allegro fino a raggiungerlo.

Clay scosse la testa divertito, ascoltando i sussurri che i due Conrad si scambiavano mentre lui si vestiva nell'altra stanza. Quando, poi, si presentò vestito e pettinato, il ragazzo lo prese per mano e si avvicinò per un altro bacio.

𝗕𝗮𝗺𝗼𝗿𝗮𝗹 𝗖𝗮𝘀𝘁𝗹𝗲Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora