LA FINE DELLA TEMPESTA

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Temetti il peggio, ma quando la figura si fece più chiara mi rilassai: era Uncino. 

"Riposo" disse Uncino abbassando con la mano sana il pugnale di Jeremy. "Vengo in pace."
Ci volle un po' prima che Jeremy abbassasse effettivamente l'arme. "Cosa vuoi?" ringhiò.

Uncino lo guardò con aria superiore, badando appena alla sua domanda. "Guarda un po'" cominciò avvicinandosi al viso di Jeremy "altri amici di Pan." 

La tensione tra i due stava decisamente diventando palpabile, mi affrettai ad intervenire. "Lilli e Jeremy sono dalla nostra parte."

"Lo so, ho sentito" disse, sfoderando uno dei suoi sorrisi più maliziosi. "Mi duole dirlo, ma ho origliato tutto signorina."
"Non eri occupato con le ombre?" osservò Lilli, senza notare di averlo detto con un tono infastidito. Uncino continuava a non piacerle, nonostante ci avesse permesso di vivere serenamente sulla nave. 
Uncino non badò nemmeno a quella provocazione e si limitò a fare spallucce come un bambino. "Eravate nella mia cabina, quindi suppongo di essere io a dovervi fare delle domande."

Boccheggiai per un attimo alla ricerca di una risposta plausibile. Volevamo aiutare Lilli? Ci stavamo nascondendo da un'ombra?

"Non cerchi scuse" mi ammonì Uncino vedendomi in difficoltà. "So bene cosa state cercando," sbuffò sconsolato "ormai pare che tutti siano venuti qua per lo stesso motivo." Detto questo il suo volto si fece nuovamente serio e il tono pesante. "E sono qui per dirvi di abbandonare immediatamente il vostro piano."

Dietro di noi continuavano a sentirsi urli, spari, e il suono poco armonioso di masse pesanti buttate in mare. Si stava mettendo male. 
"Peter sta vincendo" sibilò Jeremy, abbastanza forte perché le parole potessero infastidire le orecchie di Uncino. Il capitano si irrigidì. 
"Cosa vorreste dire?"
"Che la pietra è in pericolo, e che Peter non ci metterà molto a ribaltare la nave per trovarla e vincere."
"I miei uomini..."
"I tuoi uomini" incalzai io senza nascondere la mia irritazione "stanno cadendo uno dopo l'altro".
La consapevolezza attraversò gli occhi di Uncino. Lo sapeva benissimo, ma non voleva ammetterlo. Avrebbe perso la pietra da un momento all'altro, e chissà dove l'avrebbe mandato quel ragazzo diabolico. 
"Al diavolo. Dovete andare al diavolo" disse digrignando i denti.

Volevo esultare. Era una resa, e avevamo strada libera. 

"È nel cannocchiale centrale" confessò Uncino, ormai totalmente abbandonato al suo destino. "Meglio a voi che a quel diavolo" aggiunse, senza nascondere il suo disgusto. 

Non potevamo perdere altro tempo e, senza nemmeno salutare il povero capitano affranto, iniziammo a correre verso il nostro obiettivo. Ci facemmo spazio a forza di spallate e qualche colpo ben assestato sui corpi ormai deboli degli altri pirati. Pioveva ancora e sempre più forte e anche il nostro equilibrio fu messo più di una volta in difficoltà, ma finalmente arrivammo. 

 Cercai il cannocchiale centrale e una volta trovato ne ispezionai ogni centimetro.
"Un'apertura!" esclamai trionfante, ma la felicià durò poco. 
"Attenta" sentii urlare alle mie spalle. 
Scattai per girarmi. Troppo lenta. Qualcosa mi scaraventò a terra con violenza. 
La borsa scivolò lontano da me. Mugulai cercando di allungarmi per recuperarla e questa volta fu il peso di qualcosa ad ostacolarmi. 
Nella velocità non mi ero accorta che Jeremy mi era caduto addosso. 

"Jeremy" sussurrai, sfiorandolo con le mani. Le guardai e capii che era ferito. "Jeremy" lo scrollai. "Jeremy svegliati" lo scrollai di nuovo, non sentendo una reazione. Mi si stava formando un nodo in gola, volevo urlare. I suoi occhi erano chiusi, il suo corpo chiazzato di sangue, mentre il volto calmo si faceva progressivamente più pallido. Sudava freddo. Gli presi il volto tra le mani sperando che riaprisse gli occhi. Stava respirando? Il petto di muoveva, ma piano, troppo piano. 
"Non dovevi." Il nodo che mi si stava formando in gola mi impedì di dire altro. 

"Che scena commovente." Era Peter che si stava avvicinando lentamente a noi. "Prego, continuate, non volevo interrompere questo spettacolo." Un lampo illuminò il suo ghigno malefico e suoi occhi, che a me sembrarono rossi. 
"Guarda cosa hai fatto" continuò lui. "Guarda cosa hai fatto al povero Jeremy" disse, giocando volutamente con il mio dolore. 

Guardai Jeremy pregando che si riprendesse, poi tornai su Peter. Provai a parlare, ma riuscivo solo a singhiozzare e tremare. Peter si avvicinò al mio orecchio. "Passo sbagliato madamoiselle."

Fino ad allora credevo che a soffrire potesse essere solo il corpo, ma quelle parole erano riuscite a lacerarmi anche l'anima, facendomi mangiare dai sensi di colpa. Dovevo esserci io a terra, non Jeremy. Lui, che ora sembrava non rendersi conto di essere là. 

"Lo sai che c'è un modo per non vederlo soffrire, vero?" Peter era ancora abbastanza vicino e mise a sua volta la sua mano sul volto di Jeremy. "Dammi quello che voglio e tutto tornerà come prima" sibilò a pochi centimetri dalla mia faccia. 

Sentii qualcosa muoversi sotto la mia mano. Era Jeremy che muoveva impercettibilmente la testa e sorrideva come per esortarmi a non fare nulla. 

Poi, smise di respirare.
Il suo corpo giaceva tra le mie braccia, pallido e freddo, bagnato dal solo sudore e dalla pioggia. Ma sorrideva. 

Vidi nero. Il tempo sembrava essersi fermato e sentivo il mio corpo bruciare. 
Urlai, e urlai talmente forte da fermare gli spari e le grida della battaglia. Urlai senza risparmiare il fiato, perché l'Isola doveva sapere. 

Lilli, che era rimasta bloccata da un'ombra si fece spazio per venire verso di me. Sapevo che era lei, ma le lacrime mi lasciavano distinguere solo la sua sagoma. "Lilli" sussurrai, con la bocca impastata. Non vedevo il suo volto, ma capii che doveva aver pianto anche lei dal suono della sua voce che cercava di richiamarmi alla realtà. 

Non mi importava di nulla. Non mi importava di Peter a pochi passi da me, della pietra o della battaglia. Per me quelle cose ora non esistevano. "Dimmi che puoi fare qualcosa" dissi con un filo di voce. 
Il suo silenziò fu l'unica risposta. 

Sul volto di Jeremy c'era ancora anche la mano di Peter. La guardai e seguii il braccio fino ad arrivare alle spalle e al suo volto. Chi stavo guardando? Chi era quel ragazzo pietrificato e con gli occhi lucidi? Dov'era finito il Peter che pochi secondi prima avrebbe fatto di tutto per prendersi ciò che voleva. 

"Non doveva andare così." Lo sussurrò, come se lo stesse dicendo al sé che aveva appena ucciso il suo amico. 
"Peter." Misi la mia mano sulla sua stritolandola, come per traferire quello che sentivo. "Perché lo hai fatto?"
Non rispose, allora lo spinsi all'indietro in preda alla rabbia. "Perché hai lasciato che morisse?" urlai. 

Era tremendo ricevere solo del silenzio da parte sua, ed era ancora peggio vederlo così debole e pieno di rimorso.

"Vattene Kate" disse infine, asciugandosi gli occhi e rimettendosi in piedi. "Vai via da questa Isola."
Lo guardai impietrita. 
"Non voglio più nulla da te, te ne devi andare."
Sentivo il sangue ribollirmi nelle vene. Peter era solo un bambino viziato stanco dei suoi giocattoli. 
"Mi fai schifo" sibilai.

A quel punto qualcosa in lui scattò. "Lo so Kate." Abbassò le braccia lungo i fianchi. "Ma ti prego di accettare la mia resa e andartene." Mi indicò il cannocchiale dove si trovava la pietra e senza guardarmi mai negli occhi disse:

"Addio Kate."



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