Capitolo 13.

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Dopo che le ore di scuola finirono, finalmente, e dopo che Marcus mi tormentasse con le sue domande idiote mi diressi verso l'uscita con il cellulare in mano, individuai Justin e gli andai incontro.
- Allora andiamo, bella- disse lui vedendomi e prendendomi sotto braccio
- Si, andiamo- dissi convinta e appoggiando la testa sotto la sua spalla. Uscimmo e ci dirigemmo verso il parcheggio degli studenti, Justin tirò fuori dalla tasca del suo zaino nero Eastpack un paio di chiavi Mercedes-Benz. Premette sul bottoncino e delle luci di una CLK 200 blu metallica si accesero, lui mi aprì gentilmente la porticina da qui entrai nella Mercedes, in effetti era carina. Certo non si può confrontare con una Ferrari o Lamborghini ma anche una Mercedes era davvero carina. Gli interni erano di un beige-crema chiaro, non c'erano porte per accedere di dietro, quindi i sedili davanti si piegavano facendo accedere di dietro. Era una cinque posti con tre porte( due davanti e il portellone per il bagagliaio).
Salì anche lui e mise la chiave
- Allora dove la devo portare, signorina?- chiese lui guardandomi e facendomi uno dei suoi soliti sorrisi. Justin era un ragazzo davvero affidabile, infatti era il mio migliore amico. Aveva i capelli marroncino scuro e gli occhi verdi, ovviamente spalle larghe e molto alto.
- Grattacielo n. 15- dissi guardando avanti
- Però... mica male come posto- disse lui facendo una faccia strana. Risi. Risi tanto. Non so il perché ma mi divertivo a stare con lui.
- Che hai da ridere me lo spieghi?- disse lui guardandomi sorridente
- Mi fai ridere- dissi continuando a ridere
Appena entrammo in autostrada alzai il volume della radio. C'era la mia canzone preferita. Era italiana. Se non mi sbaglio #fuoriceilsole di un cantante che ha vinto X factor. Ovviamente cominciai a cantare a squarcia gola e non sapendo l'italiano non sapevo il significato delle parole.
- Ti piacciono le canzoni italiane?-
- Alcune- risposi io
- Se posso chiedere tuo fratello chi è?- La domanda da un milione di dollari: chi è mio fratello?
Pensai molto bene alla risposta e la composi che neanche la mia prof di lettere avrebb potuto correggermela
- Allora, mio fratello è il direttore di un'azienda che ha fondato mio padre... Si chiama Jack e ha 5 anni più di me, non lo vedo quasi mai ma quando ha del tempo libero lo passiamo insieme, andando al mare oppure, so che sembra da bambini, ma andiamo anche al parco giochi. L'altalena verde è mia tanto per la cronaca-
- Non è da bambini perfino con i miei fratelli che hanno 9 e 8 anni andiamo al parco giochi- disse lui svoltando un'angolo
-Vuoi venire su da me?- chiesi guardando il suo profilo dannatamente perfetto.
- Se non disturbo...-
- Ma certo che no! Sono sempre sola per pranzo- dissi con un attimo di tristezza.
- Allora mi fermo a prendere qualcosa, Mc Donald?- chiese lui fermandosi davanti al Mc Donald
- Com'è che mi leggi nel pensiero?- dissi scendendo dalla macchina e entrando dentro nell'edificio.
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- Due coce, un cheesburgher, un Mc Bacon e patatine grandi- dissi mentre la commessa prendeva l'ordinazione.
- Da portare via?-
- Si si-
- Sono $13,67- disse la commessa prendendo l'ordinazione e prendendo i vari cibi mettendo nella busta.
Diedi $15 e me ne andai senza prendere la mancia, tanto per così poco non faccio follie o sceneggiate. 
Rientrai in macchina e Justin stava giocando con il telefonino, appoggiai il cibo e Justin mise via il telefonino per far partire la macchina verso casa. Arrivammo in 5 minuti
- Parcheggia nei sotterranei- dissi mentre lui mi guardava strano
- Che c'è?- dissi io girandomi
- Niente- disse lui facendo andare la macchina.
Parcheggio vicino alla Lamborghini e mi diressi verso l'ascensore aspettandolo, il profumo di cheesburgher saliva alle narici. Anche lui arrivò e le porte l'ascensore arrivò, noi entrammo e mi prese sottobraccio.
- Jes, una domanda... Ma i tuoi come sono?- mi chiese guardandomi e poi osservando il panorama dell'ascensore esterno.
-In che senso?-
-Separati, morti in un incidente, scappati...- -Sono morti- dissi fredda
-E...- non finì la frase
-Justin... in questo argomento non averci a che fare... è troppo fragile e complicato- dissi abbassando lo sguardo e ricordandomi i rumori di quella notte.
Due spari. Due botti. Due morti. Due Vittime. Una soluzione. Uccidere De Lion.
Lui si mise di fronte a me e mi sollevò il mento facendomi fissare i suoi occhi verdi.
-Jes... Scusami- disse mettendo una mano dietro al mio collo. Con i pollici stava accarezzando i lobi dei miei orecchi.
-Per cosa Justin?- chiesi non capendo
-Per questo- disse avvicinandosi a me, le sue labbra finirono sulle mie, mi fece sbattere sul muro con tanta delicatezza che non mi accorsi di essermi spostata.
Chiudemmo tutti e due gli occhi e lui mi chiese acceso alle mie labbra, così aprì un po di più le labbra da fare entrare la sua lingua, le sue mani erano sul mio collo e le mie sui suoi capelli, li accarezzavo. Quel bacio era... Era... Strano. C'era desiderio ma anche amore. Ma io non provavo niente per lui, eravamo solo amici, migliori amici. Mi staccai da lui e lo guardai dritto negli occhi, era confuso.
-Che c'è- chiesi stranito
-Beh... Justin io ti vedo solo come un amico... anzi migliore amico. Ma niente di più- dissi spostando lo sguardo sul vetro dell'ascensore.
-Ah...- disse lui spalancando la bocca. Il suo riflesso nello specchio faceva vedere le nostre differenze. Io ero molto più bassa di lui. Gli arrivavo al mento.
- Se ci scoprisse Marcus ti ucciderebbe e poi picchierebbe me... Non voglio che ti succeda qualcosa per colpa mia- dissi con le lacrime agli occhi
-Jessica sono stato io a baciarti, se deve picchiarmi sono pronto a fargli vedere le stelle-
-Justin Io... Tu... Non sei il mio tipo!- dissi girandomi, guardandolo, mentre le lacrime scendevano.
-I miei genitori sono stati uccisi- dissi in un sussurro ritornando calma.
Mi asciugai le lacrime e sollevai lo sguardo con quella poca di dignità che mi era rimasta, Justin era serio, i suoi occhi non facevano trasparire nessuna emozione e la sua mascella era rigida.
Un'altra vittima per colpa mia.
- Mi dispiace, Justin, questo gesto non cambierà la nostra amicizia. Saremo sempre migliori amici- finalmente l'ascensore si fermò e le porte si aprirono.
Per poco non tirai lo zaino su quella faccia
-JACK?!- urlai spalancando gli occhi
-Chi è LUI?- disse mentre metteva in bocca un po di noodle (quei spaghetti strani cinesi)
- Piacere sono Justin, un compagno di scuola di Jessica- disse portando avanti la mano affinché mio fratello la stringesse.
-Piacere Jack- disse stringendo la mano
-Che ci fai qua?!- continuai
-Forse pranzo?!- disse indicando la scatola
-Ma non dovevi essere al lavoro- chiesi io appoggiando la busta sul tavolo
-Avevo un'ora libera, invece te che ci fai qua?-
-Sai com'è gli esseri umani mangiano anche a casa propria- dissi indicando Justin
-Pensavo che ti accompagnasse Nicky o Giuly- disse lui
-Ecco di questo volevo parlarti... Oggi non sono venute a scuola-
-Hai provato a chiamarle?-
-Si e non rispondevano così ho chiamato te e non mi rispondevi neanche tu-
-Vado ad avvisare il capo, tu resti qua oggi- disse Jack cominciando a salire le scale per il piano superiore
-Ma Jack... Oggi devo andare da Alexan...- non riuscì a finire che Jack mi lanciò uno sguardo di fuoco.
-Tu. Oggi. Resti. A. Casa. CHIARO?!- urlò lui
-Fanculo- sussurrai.
-Jes... tutto bene?- mi chiese Justin
-Si si vieni cominciamo a mangiare-dissi sbuffando.
Ci sedemmo al tavolo che era appoggiato al muro prima della cucina. Presi fuori la roba e diedi un morso al Mc Bacon.
-C'è qualcosa che non va?- mi chiese
-Si una cosa, oggi dovevo andare da Alexander per portargli i compiti, ma mi sono dimenticata che devo andare a fare un esame del sangue. Li potresti portare tu?- chiesi bevendo un sorso di coca.
-Cosa mi dai in cambio?- chiese alzando il sopracciglio
-Mmhhh... Cosa vuoi?- chiesi
-Un ballo con te- disse offrendomi la mano. -Ma non c'è la musica- dissi prendendo la mano
-E chi ha detto che serve la musica?- chiese alzandosi e avvicinandosi a me per portarmi in mezzo al soggiorno, misi la testa sulla sua spalla e lui mise le mani intorno ai miei fianchi. Cominciammo a dondolarci senza un ritmo, spensierati. Quella era la vita che avrei voluto avere, c'era ancora un problema. Jonas De Lion.

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