Capitolo 23.

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I suoi occhi tramavano di strangolarmi fino al mio ultimo respiro.
-Ha ucciso mio fratello- disse solamente prima di avvicinare la mano.
-Ha ucciso la mia famiglia- continuai.
-Ed è mio fratello-
-Se ti vuoi sfogare, fallo con un sacco da box- dissi prima di andarmene. Se mi avrebbe fermato non avrei risposto delle mie azioni.
Devo trovare Marcus o giuro che mi chiudo in stanza e non torno più fuori.
-Si è persa?- chiese un' uomo mentre girai un' angolo.
Vorrei tanto mandarlo a fanculo ma alzando lo sguardo mi si illuminarono gli occhi.
-Ora non più- dissi convinta mentre cacciavo una mano in tasca e prendevo la fotografia.
-Sono Jessica- dissi dandogliela in mano. Lui la prese con delicatezza e studiò la fotografia.
-Come sta Jack?- chiese sorridendo.
-Bene- risposi sorridendo felice.
-Mi aveva avvertito del tuo arrivo ma non immaginavo che fossi cambiata così tanto- mi ridiede la foto e mi studiò il volto.
-Vieni con me, questo non è un luogo appartato per parlare. Troppe orecchie e occhi- disse dirigendosi verso la parte delle camere.
-Stanza 522 giusto?- chiese.
-Si perché?-
-È la stanza più tranquilla della Casa Bianca- rispose lui mentre tiravo fuori dalla tasca le chiavi della mia piccola stanzetta.
La aprimmo e ci chiudemmo dentro.
Il silenzio sovrastava tutto il resto.
-Perché?- chiese lui.
-Cosa?- chiesi.
-Perché hai accettato?-
-Ecco... mi sono ricattata da sola- conclusi in fretta.
-Allora, il presidente russo arriverà per una cena questa sera. Il nostro presidente invece dovrebbe arrivare tra meno di venti minuti. Sarai tu la sua scorta insieme all' agente Jackson, domani- chiarì lui.
-Marcus...- iniziai io.
-Dimmi-
-Nella scorta del presidente russo c'è per caso anche Jonas?- chiesi con una punta di timidezza.
-Da quel che so io non dovrebbe esserci- disse lui alzando le spalle.
-Jessica, tutti qui dentro sanno chi sia. Non penso che arriverà facilmente a te-
-L' unica cosa che ti chiedo è quella di non guardare negli occhi Putin. È a conoscenza di chi sei e cosa sei per lui- continuò lui allargandosi un po' la cravatta blu tinta unita.
-E cosa sono per lui, se posso chiedere- chiesi seria.
Lui mi guardò e fece un paio di sospiri.
-Una minaccia. Sei riuscita a sopravvivere a quattro missioni suicida e hai respinto una tossina dal tuo organismo. Putin ti teme-
-Mi vuole morta?- chiesi leggermente impaurita.
-Non penso, infondo siete sangue russo, non vi vuole su un piatto d'argento, però se gli state alla larga è meglio per tutti- disse lui.
-Perfetto- dissi io.

                             *****

Il giorno dopo mi svegliai con lo suonare della sveglia.
7.35.
Mi alzai e presi dalla valigia intimo, pantaloni neri, camicia, giubbotto anti proiettile e giacca nera. Le pistole le posizionerò dopo.
Mi tolsi la canottiera e i pantaloni per poi togliermi anche l' intimo. Vorrei farmi una doccia ma le docce sono in comune.
Mi misi il tutto e portai sul letto la valigia. La aprì e presi da un' altra piccola valigia due pistole semi automatiche. Una la posizionai sulla schiena infilata nei pantaloni e coperta dalla giacca nera. L'altra la misi sulla vita dalla parte di sinistra. Sono abile dalla mano destra. La mano sinistra è più agile per i cazzotti.
Mi avvicinai al piccolo armadio da un' anta e la aprì. Un piccolo specchio era attaccato su tutta la sua lunghezza.
Mi sistemai meglio la giacca e anche i capelli con i quali li pettinai un pochino per lasciarli sciolti.
Qualcuno bussò alla porta che aprì.
Marcus mi si piazzò davanti con una maschera in plastica da mezzo volto.
-Tra dieci minuti c'è la colazione- disse solamente.
-Grazie-
Troppa gentilezza qua.

Oh eccoti, dov' eri finita?

Cazzi miei.

E continua a farteli.
Marcus mi lasciò la maschera e poi proseguì. Dovrà forse informare gli altri soldati.
Chiusi la porta e ritornai davanti allo specchio.

                               *****

ORE 16.57
Il presidente russo ha appena varcato i cancelli della Casa Bianca. Le piccole bandierine russe svolazzano sulla Hammer nera. Vedo il presidente americano leggermente agitato.
-Andrà tutto bene- dissi ritornando con lo sguardo sulla Hammer russa.
-E come fa a saperlo?- chiese lui.
-C'è di peggio- continuai io sfoderando un sorriso.
-Spero lei abbia ragione- disse lui cordiale.
-Mi dia del tu presidente- continuai prima di chiudere definitivamente la bocca.
I giornalisti osservavano e riprendevano le scene con una indescrivibile foga. Magari fosse così tutti i giorni anche per andare a scuola.
Le guardie del corpo russe scesero dalle quattro macchine e aprirono la porta del passeggero.
-Presidente Obama- disse Putin scendendo.
-Presidente Putin- disse lui a sua volta.
-Che ne dice se ci appartassimo in un luogo più sicuro per una chiaccherata?- chiese il russo avvicinandosi per una stretta di mano.
Putin mi guardò ma rimasi con lo sguardo verso i cancelli. Verso un'eventuale pericolo.
Obama annuì.
-Mi faccia strada allora- continuò il russo.
Obama si girò e l'agente Jackson ed io di fianco a lui.

Spie. Un gioco sporcoWhere stories live. Discover now