Capitolo II

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Riley, 8 novembre 1996

Il peso dello zaino grava sulle spalle; mentre guardo per terra sembra che il peso dei libri mi stia facendo precipitare sotto le crepe dell'asfalto.

Di solito quando cammino il mio collo è sempre piegato all'ingiù.
Evito in qualsiasi modo il contatto visivo con la gente. Questo crea sempre dei legami, e a me non piace averne con le persone.
Anche perché. se guardo negli occhi qualcuno, capisco come si sente. È l'unico momento in cui distinguo gli stati d'animo, ma è meglio se nessuno dei due parla.
Le parole mi confondono più di quanto non sia già mentalmente disordinato. Perché tu puoi dire qualunque cosa, ma i gesti del corpo ne cambiano il significato, poi ci si mette anche il contesto e tutte le altre cose.
È impossibile calcolare ciò che veramente parlando si vuole trasmettere, ci sono troppe variabili.
Gli infiniti che io conosco sono così estesi: mi riesce già difficile orientarmi in quello della mia vita che non potrei catapultarmi anche in un altro.

Salgo le scale in velocità, un passo dopo l'altro; sono otto rampe e casa mia è al quarto piano. Appena arrivo davanti alla porta, mi devo fermare per un secondo.
Forse anche più di un secondo.
La testa mi gira un poco e nel collo sento la pressione che c'è quando ci si mette a testa in giù e il sangue va tutto al cervello.
È dall'estate che ho iniziato ad avere la resistenza tipica dei pensionati.

Mi butto sul divano che ha un colore abbastanza strano, di un beige tendente al bluastro. È strano, sembra che prima di metterlo qui lo abbiano immerso nei neon.
Dico abbiano perché questo posto non l'ho decorato io, era già così quando ho pagato l'immobile.

Tutte le persone dotate di buon gusto, quindi me compreso, avrebbero da ridire sull' arredamento. Però questo è il mio habitat e non mi interessa molto se sulle pareti non c'è nemmeno una decorazione, anche perché fungono da quadri i miei fogli: appunti e disegni attaccati ai muri con le puntine.

Un giorno il mio ginocchio ha avuto la brillante idea di farsi infilzare da una di queste che era rimasta per terra, mentre io facevo un paio di metri a carponi per recuperare la mia penna rossa.
Sembrava che avessi scritto su tutta la moquette, il sangue era diventato una pozza e la mia testa appena aveva visto quella roba appiccicosa aveva iniziato a dare leggermente di matto.

Sono due minuti che aspetto, stavolta per qualcosa, ossia che i polmoni tornino a lavorare come al solito dopo che hanno faticato per salire le scale.
Il petto si alza e si abbassa sempre più regolarmente, e penso a come il corpo faccia di tutto per tenere in vita un umano.

Adesso, se provassi a trattenere l'aria, subito dopo aver ripreso a respirare i polmoni prenderebbero quanto più ossigeno possibile per ovviare alla mancanza che c'è stata.
Se volessi smettere di farli funzionare, sarebbe davvero complicato. Dovrei proprio escogitare un modo per ingannare il mio stesso corpo e soffocare il suo bisogno di di ossigeno.
Sembra come che ciò che mi compone continui a dirmi che sono un illuso.

Appena apro l'acqua lo scroscio del getto sulla vasca si propaga ovunque e mi infastidisce. Aspetto per nove secondi che le onde del suono entrate nella testa si assorbano e smettano di farmi tremare le palpebre.

Sono sempre così, pieno di tic nervosi e roba simile. Non uno che sembra stia avendo una crisi epilettica mentre ti parla, ma quando sono confuso o ansioso - quindi sempre - non riesco a stare fermo.
Devo sempre scrocchiare le dita, stringere il bracciale attorno al polso, mordermi le labbra, torturare i capelli spostandoli avanti, indietro, a destra o a sinistra.
In realtà questi poi vanno dove vogliono loro e mi irritano ancora di più, quindi è meglio se li lascio stare.

Le gocce d'acqua scorrono sul mio corpo, sulle gambe, sulle ginocchia, sulle braccia.

La temperatura è bassissima, dato che è autunno e quella cazzo di caldaia inizia già a protestare per il freddo. Poverina, non sa che dovrà resistere almeno fino ad aprile del prossimo anno, e che il sole pieno a riscaldarla probabilmente non ci sarà nemmeno ad agosto.

The Unsaid | Wattys2017Where stories live. Discover now