Capitolo XIV

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Hyris, 30 maggio 1997

Ho così tanto sonno che se chiudo gli occhi sono sicura che collasserò.
La festa di ieri è stata massacrante e Hanna si è comportata davvero da schifo. Mi ha sbattuto in faccia un paio di volte che quando stavo con Aron ero molto meglio, e che adesso sono la disadattata.

Quando ha insinuato che è colpa di Ashlen, il bicchiere che avevo in mano si è rovesciato da solo contro il suo vestito.

Mi viene ancora da ridere a pensare alla faccia da schiaffi sconvolta che aveva.

Il brusio indistinto della lezione mi fa addormentare e allo stesso tempo innervosire, perché non so di chi siano le voci.
L'unica cosa di cui sono sicura è che Virginia non parla.
Ma se non ci fosse lei a tenermi testa, a quest'ora sarei già affogata nel Lee con il peso di tutti i casini che combino allacciato alla caviglia.

Ultimamente abbiamo legato e ci siamo aiutate a vicenda.
Durante lo scorso mese eravamo sempre dedite allo studio e abbiamo sorvolato gli argomenti personali, ma quando mi sono scontrata con Sebastien sull'uscio della porta della camera di Virginia, ho esatto spiegazioni approfondite.

Sono mesi che si frequentano.
Il dilemma è che Sebastien non fa che ubriacarsi ovunque vadano per poi tirare pugni a chi osi avvicinarsi a lei.

Ho riso quando mi ha fatto il paragone con un cane da fiuto: il segugio arriva alla traccia di un altro simile, Sebastien alle bottiglie di birra.

Loro sì che stanno bene insieme.
Virginia pacata, gentile ma anche forte e determinata; lui desidera talmente proteggerla che spesso diventa possessivo.

Noi cosa siamo?
Il nulla.
Non c'è un minimo equilibrio degli opposti e neanche dei simili.
Una confusione di piume bianche e muri di sabbia.

Mentre penso, i miei occhi sono fissi su un numeretto della potenza nell'angolo a destra.
In certi momenti mi sento schiacciata come lui. Minuscolo e solo, appoggiato tra la parentesi e la fine della lavagna.

Una gomitata di Virginia mi risveglia dal momento di intima riflessione tra me e l'esponente.

«Me lo sai dire, Newt?» il prof di matematica si aggiusta gli occhiali guardandomi.
Che cosa vuole?
Oh, che palle.
La solita domandina fatta per attizzare gli animi della classe pronti ad indagare sui fatti tuoi.

Eccolo che scribacchia qualcosa sul registro calcando come se dovesse strappare il foglio.
Ed eccoli che subito bisbigliano e mi guardano.

Hanna, soprattutto, sembra abbia intavolato un vero e proprio dibattito. Quanto mi piacerebbe vederla spiaccicata sotto la sua Porsche.

Fanno tutti schifo, tranne Virginia. Mi perdo a guardarla mentre il prof riprende a correggere gli esercizi.

Ha una treccia a spina di pesce che è perfetta. Neanche un capello fuori posto.
Il sorriso che potrebbe far innamorare chiunque. Dolce e proporzionato, un'orchidea rosa.

Parlare con lei è davvero un piacere. I suoi modi pacati mi lasciano spesso interdetta e invidio di non saper gestire le situazioni alla stessa maniera.

Ad esempio quando, un giorno, con la mia grazia da ippopotamo, ho strappato i leggins trascinandomi su una panchina di legno umido e scheggiato. Mentre andavo in panico saltellando per il marciapiede con la maglia tirata fino ai piedi, lei si preoccupava di telefonare alla sartoria per prenotare una riparazione.

In effetti, Virginia ha ammesso - con la massima educazione - che faccio abbastanza disastri con la mia goffaggine temporalesca.
Però non è altezzosa e per questo la apprezzo, diversamente da Hanna.
Anzi, crede molto poco in se' stessa e devo sempre spronarla con Sebastien, altrimenti non andrebbe avanti.

Con lei posso permettermi di lasciar perdere tutte le cazzate di Riley e anche di rimuovere sempre più il ricordo di Aron.

Con Riley, invece, sono tornata nel circolo vizioso dell'affezionarsi: mi attrae ma non sono capace di trattenerlo. Incostante e mai abbastanza; annaspo sulla superficie ma non posso permettermi di galleggiare.

«Ti accompagno io oggi, ti va?» le chiedo mentre scendiamo la scalinata del cortile.

Non mi sfugge lo scambio ultra-intenso di sguardi con Sebastien.
Lui la mangia con gli occhi, lei diventa un pomodoro.

«Ok, prendiamo il bus» allunga il passo e porta il plico di quaderni fin sotto la gola.

Ridacchio riempiendo la distanza che ci separa. Se penso a tutte le volte in cui il suo controllo è saltato in aria appena si giungeva all'argomento Sebastien!
In quei momenti mostra il suo animo un po'nascosto: quello sensibile e delicato, che la fa arrossire quando lui la sfiora, che si preoccupa che non guidi quando è ubriaco e che gli fa le ramanzine appena sono usciti dalla discoteca.

Magari io avessi un pregio da scoprire.
Per ora nessuno l'ha trovato, anzi Riley ha pure impolverato i pochi che c'erano già. Da quando è venuto a casa mia, non l'ho più potuto guardare in faccia nemmeno una volta. Che codardo, non immaginavo mi avrebbe voltato le spalle in quella maniera.

Giriamo l'angolo per arrivare alla fermata.

Fai che non sia lì.

Fai che non sia lì.

Oh no, è lì.

«Andiamo dall'altra parte, veloce» farnetico nel panico totale.
Non posso andargli vicino.
Mi scotterò.
Al mio corpo fa molto male anche solo respirare la sua stessa aria.

«Dai! Tranquilla, due metri e lo superi. Non guardarlo.»

Lei sa sempre come prendermi e le sono grata per questo.
Non mi va di parlarle di lui, è così stupido e non merita che altri lo pensino. Ma Virginia ha già capito che insieme abbiamo combinato qualche disastro e che adesso solo la sua immagine mi fa venire l'orticaria.

Deve sembrarmi invisibile.

Del resto è quello che lui vuole.

Che entrambi vogliamo.

The Unsaid | Wattys2017Where stories live. Discover now